Hiv, solo il 20% degli italiani
si sente a rischio malattia

Emerge un quadro contraddittorio della rappresentazione dell’HIV/AIDS oggi. Se da un lato non si sentono a rischio personale, il 60% degli italiani pensa sia comunque facile contrarre il virus dell’HIV, perché questo riguarda prevalentemente i tossicodipendenti, le persone con relazioni promiscue e gli omosessuali.

Otto italiani su dieci non si sentono a rischio di contrarre l’HIV perché confidano nelle proprie abitudini e comportamenti e il 90% ritiene che avere rapporti sessuali protetti sia il metodo più efficace per non contrarre l’infezione, mentre una quota residuale (circa il 17%) ritiene invece che il modo migliore per prevenire l’infezione sia non avere contatti con le persone sieropositive. Questi sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca GfK Eurisko, con il supporto non condizionato di Gilead, che ha coinvolto oltre mille soggetti in tutta Italia e che ha inteso indagare le conoscenze degli italiani sull’HIV, sugli strumenti di prevenzione e sulle possibilità terapeutiche.

Emerge un quadro contraddittorio della rappresentazione dell’HIV/AIDS oggi. Se da un lato non si sentono a rischio personale, il 60% degli italiani pensa sia comunque facile contrarre il virus dell’HIV, perché questo riguarda prevalentemente i tossicodipendenti, le persone con relazioni promiscue e gli omosessuali. Emerge qui una ulteriore contraddizione: mentre dalla ricerca risulta che solo per 2 italiani su 10 la categoria degli eterosessuali è a rischio di contagio, l’epidemiologia dimostra che tra i nuovi infetti la maggioranza relativa sono etero (oltre il 40%).

”Questi risultati dimostrano quanto oggi la percezione del malato di HIV sia ancora legata a stereotipi e false credenze dovute probabilmente a carenza di informazioni - commenta Isabella Cecchini, Direttore del Dipartimento di ricerche sulla salute di GfK Eurisko -. Carenza di informazioni che rischia di penalizzare soprattutto i più giovani, che per scarsa conoscenza e consapevolezza arrivano a ghettizzare, in 9 casi su 10, i malati di HIV nella categoria dei tossicodipendenti. Anche questo conferma che nonostante siano passati trent’anni, si tende ancora a considerare l’HIV come un problema che non ci tocca direttamente, e per si tende a rimuovere il rischio personale», conclude Isabella Cecchini.

Anche il test dell’HIV rappresenta uno strumento molto importante, anche se sottovalutato, per individuare subito l’infezione e iniziare precocemente i trattamenti con antiretrovirali, ma solo la metà degli intervistati (46%) lo indica come possibile strumento di prevenzione e controllo. «Non va mai sottovalutata l’importanza della diagnosi precoce dell’infezione. E’ infatti dimostrata la correlazione tra l’inizio delle terapie e l’incremento della durata della vita e la riduzione di comorbilità, perciò è importante favorire una diagnosi precoce, oltre che garantire l’accesso alle terapie antiretrovirali innovative - dichiara Andrea Antinori, direttore Malattie Infettive all’INMI Lazzaro Spallanzani di Roma -. Si stima che nel mondo solo la metà delle persone con HIV sia a conoscenza del proprio stato. In Italia, su oltre 120mila persone con diagnosi di HIV/AIDS, il 15-20% non è al corrente della propria sieropositività. Nel 2012 almeno il 50% di nuovi casi di infezione diagnosticati erano già in fase avanzata della malattia».

”L’età media in cui la malattia viene diagnosticata - conferma a Italpress Giovanni Di Perri, professore ordinario di Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Torino - è tra i 40 e i 50 anni, spesso in ritardo rispetto alle necessità terapeutiche e la principale causa principale di questo ritardo è proprio la mancanza di consapevolezza della popolazione a rischio».

Il 74% degli intervistati è consapevole che l’HIV non è curabile ma può essere tenuto sotto controllo con i farmaci e solo 1 su 3 (32%) ritiene che siano accessibili. «L’innovazione terapeutica - ha chiarito Di Perri - ha avuto un ruolo fondamentale nel modificare il decorso clinico del paziente con HIV: da quando sono state introdotte le terapie antiretrovirali nel nostro Paese (1996), l’incidenza dell’AIDS e il numero di decessi l’anno sono progressivamente diminuiti. Oggi possiamo contare su nuove terapie monodose, più tollerabili e con meno effetti collaterali rispetto al passato, che hanno permesso di controllare la malattia nel lungo periodo, trasformando l’HIV/AIDS in malattia cronica, al pari di diabete, disturbi respiratorie e cardiopatie. Inoltre, hanno determinato un incremento anche nell’aspettativa di vita: mentre 30 anni fa il tasso di letalità dell’AIDS era vicino al 100%, oggi si attesta al 5,7%. Questo significa che nelle migliori condizioni di esercizio terapeutico - puntualizza Di Perri - si può arrivare a una sopravvivenza media vicina a quella della popolazione generale».

Il bisogno di informazione della popolazione resta insoddisfatto: 9 italiani su 10 hanno sentito parlare di HIV, ma non di recente, e il 75% ritiene che il tema sia poco trattato e vorrebbe che fosse più affrontato soprattutto nelle scuole (79%), sui mass media (66%), ma anche dal medico (54%).

”La responsabilità di questa carenza di informazioni è da ricondurre alle Istituzioni politiche. - afferma Rosaria Iardino, presidente onorario di Network Persone Sieropositive (NPS) Italia Onlus -. Da anni non si sente più parlare di HIV: a risentirne sono gli adolescenti, che si apprestano alle prime esperienze sessuali, e i giovani adulti eterosessuali che rappresentano oggi la popolazione a maggiore rischio di contrarre l’infezione. E’ sottovalutato l’effetto positivo di campagne di sensibilizzazione mirate, strumenti essenziali per formare una coscienza diffusa del rischio e dell’importanza della prevenzione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA