Bernardì, Vapore, Félìs, Tarcisio e Fogn
Il fascino incantato delle campanine

Suonare le campane in Valgandino è da sempre considerata un’arte e gli abili virtuosi che vi si cimentano vengono rispettati alla stregua di grandi artisti. Lo testimonia anche Luca Fiocchi, presidente della Federazione Campanari Bergamaschi.

Suonare le campane in Valgandino è da sempre considerata un’arte e gli abili virtuosi che vi si cimentano vengono rispettati alla stregua di grandi artisti. Lo testimonia anche Luca Fiocchi, presidente della Federazione Campanari Bergamaschi, che a Leffe ha dato vita a una scuola per campanari.

Numerosi sono in tutta la zona quei virtuosi che in occasione delle feste patronali o ricorrenze religiose salgono nella cella campanaria, pestano su di una tastiera in legno direttamente collegata ai batacchi delle campane, dando vita ad allegri motivi che si diffondono in ogni dove.

La Valgandino ha sempre vantato un gran numero di questi musicisti, alcuni dei quali divenuti dei veri e propri professionisti le cui prestazioni sono ancor oggi richieste sino nelle parrocchie più lontane: si sono tramandati quest’arte di generazione in generazione.

Una volta il campanaro era una vera e propria professione, privilegio di pochi. Non sempre però era possibile esercitarsi sulla tastiera della torre campanaria, ed ecco allora che qualcuno inventò le «campanine»: una sorta di xilofono che in questa zona è ancor oggi assai diffuso, tanto da appartenere alla locale tradizione. Strumento di piccole dimensioni, portatile, consiste in una cassetta in legno, che funge da telaio e cassa di risonanza, sulla quale è montata una serie di tasti, barrette in vetro in successione scalare che percosse danno un suono argentino simile a quello delle campane. Sicuramente da ciò deriva il nome «campanine».

La mancanza di testimonianze scritte circa la conoscenza dello xilofono da parte dei valligiani dell’epoca, presumibilmente sino alla fine del 1700, ci impedisce di stabilire con certezza se le «campanine» furono effettivamente dovute all’ingegno di un appassionato virtuoso o, più semplicemente, all’abilità di un attento osservatore che le costruì a somiglianza di quell’esotico strumento. La tradizione orale sostiene la prima ipotesi, ma non si può certo escludere la seconda che risulta essere più attendibile dal confronto dei due strumenti. Entrambi infatti presentano spiccate affinità, soprattutto per quanto riguarda i principi costruttivi e il funzionamento. I primi esemplari di campanine erano del tutto simili anche esteticamente ad alcuni xilofoni dell’area indocinese.

La differenza sostanziale consiste nella diversa impostazione della tastiera: negli xilofoni era costituita da quattro file di tasti incrociati, mentre in quei rudimentali strumenti da una semplice serie di otto tasti, intonati sulla dominante della torre campanaria del paese. Secondo la tradizione orale pare che il primo esemplare in vetro sia stato realizzato a Gandino.

Le campanine sono ancora molto diffuse in tutta la Valgandino, utilizzate soprattutto per rallegrare feste e ricorrenze. Leffe forse vanta una tradizione più radicata, anche se nel tempo sono venuti a mancare quei grandi virtuosi che hanno contribuito non poco alla loro diffusione. Col passare delle stagioni nel borgo laniero le campanine sono state affiancate da altri strumenti, mandolino e violino, l’ideale per piccoli ensemble chiamati ad animare le ricorrenze popolari.

A Gandino invece sono ancora strumento fondamentale di ogni bandella che si esibisce di casa in casa nel periodo natalizio. In ogni caso la tecnica di costruzione e di suono viene tramandata di padre in figlio e sono molti i giovani che rinnovano questa tradizione. Uno solo, Michele Nicoli a Leffe, anche le costruisce personalizzandole. Sostituiscono quei pionieri che attorno a una tavola ricordavano spesso le tecniche di costruzione.

Così raccontano i pochi testimoni di quell’epoca: «Un tempo erano tutte costruite in vetro. Per fare i tasti si usavano i cocci di vetro che più o meno si potevano trovare in ogni casa, oppure ci si procurava la materia prima tra gli scarti di un falegname. L’intonazione dei tasti era un’operazione molto lunga e difficile che oltre a un buon “orecchio” musicale richiedeva tanta abilità e una buona dose di pazienza: le singole barrette di vetro che costituivano i tasti venivano a tale scopo limate ai bordi con quelle vecchie chiavi in ferro ormai in disuso ed era molto facile, se non si prestava grande attenzione, rovinare in un attimo il lavoro di ore. Fatti i tasti, operazione delicata, si costruiva la cassetta con assicelle fini, procurate il più delle volte dalle cassette di frutta».

Oggi è quasi impossibile costruire campanine in vetro perché il materiale in commercio non ha più le proprietà necessarie, è di qualità inferiore. Non per questo la tradizione valligiana si è estinta; appassionati e costruttori di questi strumenti utilizzano materiali metallici. Chi conserva strumenti con i tasti in vetro li custodisce gelosamente.

Nel presente la schiera di virtuosi delle campanine non è così nutrita, anche se l’interesse di una nuova generazione pare in crescita, con risultati apprezzabili. Il repertorio di questi virtuosi nel tempo si è notevolmente allargato, adeguandosi alle situazioni più festaiole. Comprende valzer, marcette e una lunga serie di altri motivi ideali a rallegrare la gente. Se in valle fate i nomi del Bernardì, di Vapore, Fogn, Félìs, Tarcisio Beltrami - tanto per citarne qualcuno di Leffe - quasi tutti sanno di cosa state parlando. È giusto a loro che si deve il merito di aver avvalorato e tramandato una delle tante tradizioni della nostra Terra.

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