Atalanta, per sempre giovane
Un libro sul vivaio d’oro nerazzurro

Mercoledì alle 18 la presentazione di «La Dea della giovinezza», opera di Stefano Corsi e Stefano Serpellini.

Tutto quello che avreste voluto sapere sul settore giovanile dell’Atalanta e non avete mai osato chiedere. Ovvero «La Dea della giovinezza», il libro (Edizioni Bolis) scritto a quattro mani da Stefano Corsi e Stefano Serpellini con prefazione di Luigi Garlando che verrà presentato mercoledì 31 maggio alle 18 al Palazzo del Credito Bergamasco in largo Porta Nuova 2. Ospiti d’onore, Mino Favini e Gianpaolo Bellini, moderatore Pier Carlo Capozzi. «La Dea della giovinezza» nasce sull’onda di un campionato che per l’Atalanta resterà memorabile: per risultati e gioco, per estetica e pathos. La chiave del successo sono stati il coraggio del tecnico Gian Piero Gasperini e l’esplosione dei giovani. Il libro è un reportage nel quale i due autori hanno cercato di sondare le ragioni dell’eccellenza del vivaio atalantino attraverso i ritratti di alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia del settore giovanile nerazzurro: maestri che hanno dato un’impronta, allenatori che hanno saputo crescere ragazzi e giocatori, campioni che da Zingonia sono decollati, dirigenti di oggi capaci di spiegare che cosa è cambiato e in che direzione si dovrà andare.

La società nerazzurra è sempre stata all’avanguardia in tema di settore giovanile, anticipando i tempi e investendo adeguatamente nelle strutture. E non solo: l’Atalanta ha sempre avuto pazienza coi propri ragazzi; ha saputo andare a pescare fuori provincia prima e fuori Lombardia poi, quando sembrava uno spreco di risorse. Ma, soprattutto, ha saputo curare gli aspetti educativi e formativi. <Quando si parla dei giovani dell’Atalanta, si parla di bravi giocatori e di bravi ragazzi>, dice l’amministratore delegato Luca Percassi. Il libro parte da Atalanta-Napoli del 2 ottobre 2016, dove è cominciata la rivoluzione giovanile nerazzurra, e si conclude con Atalanta-Milan del 13 maggio 2017 e la partecipazione all’Europa League delle Coppe aritmeticamente conquistata.

GLI AUTORI

Stefano Corsi è nato a Bergamo nel 1964 e vi ha abitato fino a cinque anni, prima di trasferirsi a Lodi, città in cui oggi vive e insegna materie letterarie in un liceo scientifico. Per Bolis Edizioni ha pubblicato nel 2016 Una piccola patria. Ha all’attivo altre pubblicazioni di letteratura sportiva: Mentre intanto l’Atalanta (2007), Per brevità chiamato Ibra. Il campione senza maglia (2009), L’Atalanta nei giorni (2010), Il campionato del professor Caudano (2011), Il blu e il nero (2014). Ha tenuto sulle pagine de L’Eco di Bergamo due rubriche calcistico-letterarie: Le partite della vita e Rime in fuorigioco.

Stefano Serpellini, 1965, giornalista, inviato de L’Eco di Bergamo. Si occupa di cronaca giudiziaria, cronaca nera e di calcio, dell’Atalanta in particolare. Ha iniziato nel 1989 a Bergamo-oggi per poi passare a La voce di Bergamo e quindi a Il giornale di Bergamo. E’ stato collaboratore de La Repubblica, La Stampa, La Notte, L’Indipendente, Tele Unica Lombardia. Ha realizzato i testi per Gente come noi. Voci, storie, immagini di un’identità, documentario del regista Salvatore Nocita

I PROTAGONISTI

Favini, il guru di Zingonia - Quello che è stato il personaggio-chiave per il decollo del settore giovanile dell’Atalanta, rischiava di fare il panettiere a vita. Una volta smesso col calcio giocato, Favini era infatti tornato a lavorare al forno di famiglia a Meda. Ma l’allora presidente del Como Alfredo Tragni bussò alla forneria e gli chiese di dargli una mano coi giovani. Da lì Favini mosse i primi passi per diventare una delle figure più importanti del calcio giovanile. «La testa è padrona di tutto», ha sempre ripetuto ai ragazzi.

Bonifaccio, Maestro tra i banchi e sui campi - Era maestro elementare e allenava per hobby, quando i suoi Giovanissimi del Gorlago, che militavano nel campionato Csi, batterono in amichevole i pari grado dell’Atalanta. Dopo quella partita fu chiamato al settore giovanile nerazzurro, diventando il responsabile del Nucleo addestramento giovani calciatori, in pratica i più piccoli. Secondo molti è stato il vero genio del vivaio. Per non far scartare il quattordicenne Donadoni, che era gracilino, si inventò una richiesta da parte del Milan. In rossonero il fantasista ci finirà davvero: anni dopo e pagato a peso d’oro.

Pizzaballa, molto più di una figurina - Pierluigi Pizzaballa è stato un grande portiere e una figurina introvabile. Ma anche il responsabile del vivaio atalantino prima dell’era Favini. E’ sotto la sua direzione che il settore giovanile sbarca in Toscana, affiliandosi al Margine Coperta da cui poi arriverà Federico Pisani. La sua prima selezione per una squadra, l’Ardens di Bergamo, il ragazzino Pizzaballa la rifiutò per paura di sporcarsi: era il suo turno, ma s’era messo a piovere e l’area di porta era infangata; lui era vestito con gli abiti della festa, a casa non avrebbero gradito.

I Percassi, dal campo alla scrivania - Sia il presidente Antonio Percassi che il figlio Luca, amministratore delegato dell’Atalanta, sono passati dal settore giovanile dell’Atalanta. Entrambi difensori sul campo, ora si trovano a dirigere la società con mentalità votata più all’attacco che alla difesa. I tifosi hanno perdonato loro pure la vendita di Gagliardini a campionato in corso. «Sarebbe stato immorale non cederlo a quella cifra (30 milioni di euro coi bonus) – confida Luca -. E poi la gente ha capito che le scelte di mio padre sono dettate dalla pura passione».

Costanzi, l’uomo nuovo del vivaio - «Il calcio di oggi non è più quello degli anni ’70, dove la tecnica poteva bastare: ci vogliono forza, velocità, esuberanza fisica, intensità – spiega Maurizio Costanzi, responsabile del settore giovanile atalantino -. Per questo si è dovuto ampliare la geografia della ricerca di talenti: l’Italia non basta più. Anche se le nostre squadre restano composte per lo più da giovani del territorio». Costanzi è l’uomo che ha contribuito a portare Franck Kessie a Bergamo.

Vavassori, il precursore del gasperinismo - L’Atalanta che più assomiglia a quella di Gasperini è stata quella di Giovanni Vavassori: settima in serie A nella stagione 2000-2001 e grazie ai giovani. Sotto la guida del Vava sono arrivati tra a e B in diciassette. Alcuni nomi: i gemelli Zenoni, Pelizzoli, Zauri, Bellini, Pinardi, Morfeo, Donati. Dopo una vittoria con l’Inter, giunta al termine di una vigilia agitata, qualcuno dei giocatori disse ridendo: «Da adesso ci autogestiamo». Vavassori finse di non sentire, ma costrinse gli aspiranti cospiratori a rimettere sul trono il re. Come? Rifiutandosi, la settimana dopo, di fare la formazione fino a pochi minuti prima dell’inizio della partita: «Volete l’autogestione? Fate voi». I giocatori lo implorarono di dire chi avrebbe giocato.

Prandelli, la sua banda suonava il rock - A Zingonia se la ricordano ancora adesso la Banda Prandelli: Morfeo, Tacchinardi, Pisani, Viali, Pavan, Locatelli, Foglio. Una squadra che si ritrovò sugli spalti anche tremila persone tanto era capace di dare spettacolo e che rischiò di soffocare in culla la carriera di Gigi Buffon. Nel campionato Primavera i nerazzurri rifilarono al Parma una goleada già nel primo tempo, con il portierone che si mise a piangere e si rifiutava di tornare in campo. E alla vigilia della finale del «Viareggio» contro il Milan, per stemperare la tensione Prandelli girò per le camere vestito da diavolo. Molti fuggivano spaventati, Morfeo invece tentò di prenderlo a cazzotti.

Donadoni, il campione gracile ma tenace - Era gracilino, ma aveva una classe sopraffina. Roberto Donadoni avrebbe potuto sfondare anche allenandosi meno dei compagni. «Ma io non mollavo mai – dice -, non mi tiravo mai indietro. Stavo male, ma in campo volevo andarci lo stesso». Come quella sera di Coppa Italia, lui aggregato dalla Primavera con la prima squadra. Ha 38,5 di febbre, ma a casa non dice nulla e sale sul treno che da Cisano lo porta a Bergamo, nella speranza del debutto. Giunto in città, avrebbe dovuto prendere il 9 per lo stadio. «Ma sull’autobus avevo paura di vomitare e non sarebbe stato un bello spettacolo. Così al Comunale ci andai a pied». Quando arrivò, al massaggiatore Cividini bastò un’occhiata per capire che il ragazzino era in condizioni pietose. La febbre era salita a 39°.

Morfeo, il guascone dal cuore d’oro - Un monello di talento, ecco come viene dipinto Domenico Morfeo. Ma è stato anche un campione dal cuore d’oro, uno che si batteva perché lui e i compagni destinassero parte dei premi partita a giardinieri e magazzinieri di Zingonia. Quando, nella stagione ‘96-’97, Pippo Inzaghi era in lizza per il titolo (alla fine vinto) di capocannoniere della serie A, Morfeo gli scippò un rigore. Il bomber la prese male e seguì un periodo di tensione in cui i due vennero anche alle mani. Inzaghi poi cedette. Nell’ultima gara di campionato doveva superare Montella della Samp e disse a Domenico: «Se mi fai segnare due gol, ti do 5 milioni di lire». Detto, fatto. Nello spogliatoio Pippo staccò l’assegno. E Morfeo, sventolandolo, esclamò: «Ragazzi, stasera si va a cena: paga Inzaghi».

Bellini, i tentativi (falliti) di diventare un bad-boy - È la bandiera dell’Atalanta: bergamasco, cresciuto a Zingonia e all’Atalanta rimasto fino alla fine, collezionando il record assoluto di presenze (435) con la maglia nerazzurra. Serio, applicato, zprofessionista già prima di essere professionista». Nel quale le ribellioni erano solo intime e si fermavano sempre sulla soglia. Anche i tentativi di concedersi un’evasione dall’etichetta di bravo ragazzo sono naufragati. Come quella volta che fu trascinato da Pinardi nella compagnia del tabacco (Carrera e Dundjerski, i capi) che, dopo le gare, si fermava nello spogliatoio a fumare sigarette. Fu scoperto e subì una memorabile lavata di capo da Vavassori (tra l’altro, accanito tabagista).

Caldara e quei trenta provini - Ci ha impiegato trenta provini, tra Atalanta e AlbinoLeffe, prima di entrare nel settore giovanile di una società professionistica. Mattia Caldara, già acquistato della Juventus, confessa che fino a 20 anni non era così sicuro di poter stare tra i professionisti. «Nelle giovanili giocavano gli altri e io rimanevo spesso in panchina: giustamente, perché erano più forti di me», racconta. Poi l’esplosione improvvisa e quella domenica 2 ottobre col Napoli che cambiò la storia dell’Atalanta. Come al solito, Mattia la mattina, poche ore prima della partita, telefonò a casa: «Se il mister non cambia idea, gioco titolare». «Sei sicuro?», gli chiese il padre. Da quel giorno è stato una delle colonne della squadra del Gasp.

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