Godetevi lo spettacolo rosa a Bergamo
Ecco tutte le emozioni che vivremo oggi

Settantadue chilometri avvolti nel colore simbolo del Giro d’Italia. Da Cisano fino a Bergamo, quelli della tappa di oggi, la 15ª che partirà da Valdengo (Biella). Settantadue chilometri incrociando Miragolo San Salvatore e Selvino fino al tripudio nel cuore della nostra città, dopo l’ultimo brivido di adrenalina iniettato dall’ascesa della Boccola.

A parole, la tappa è bellissima, intrigante, disegnata nel modo giusto, sospesa tra salite e discese come un cocktail ben miscelato. Fatta in bici, soprattutto, se la gamba, come nel nostro caso, non è allenatissima, la tappa è tosta, ingannevole, piena di cambi di ritmo con un tracciato nervoso che non dà tregua e soprattutto presenta discese che possono ispirare colpi di mano e imboscate. Ce ne siamo accorti pedalando lungo gli oltre settanta chilometri bergamaschi, in una mattinata di sole ma con le nubi minacciose a stagliarsi all’orizzonte. Non sarà lo stesso per i corridori (la tappa per i loro standard è tra le più imprevedibili, ma non certo delle più arcigne) che oggi arrancheranno forse un pochino sul Miragolo San Salvatore che non ha pendenze schiantagambe, intendiamoci, ma è insidioso, per poi affrontare di slancio le pendenze dolci del Selvino, fiondarsi nei tornanti fino a Nembro e raggiungere Bergamo dalla Valle Seriana. Qui la Boccola sarà poco più di una vertigine passeggera prima della picchiata definitiva in viale Papa Giovanni.

In bici, fila tutto liscio all’ingresso nella nostra provincia con il cartello Cisano Bergamasco e la strada piana e ampia che non crea difficoltà e consente di mulinare lunghi rapporti. Verso Palazzago si gira a sinistra direzione Valle Brembana. E comincia il saliscendi che però non dà problemi. La piccola discesa di Almenno è una bella iniezione di fiducia, tempra il morale e rilassa le gambe prima che la tappa numero 15 del Giro d’Italia numero 100 cominci a fare sul serio. Anche noi transitiamo in un lampo: Almè e poi Zogno, dove il colore rosa appena accennato nei tratti precedenti, comincia a diventare dominante. La strada che taglia il paese brembano è circondata da striscioni e scintille rosa un po’ ovunque.

La via che sale verso il Miragolo è stretta, tortuosa, ma le pendenze non sono ancora impegnative: lo diventano invece nel primo tratto di arrampicata vera (in tutto sono circa 10 i chilometri di ascesa). I polpacci s’induriscono sulle prime rampe e si scalano rapporti nella speranza vana che l’ascesa diventi più dolce. Il Miragolo San Salvatore si scala a cinquanta chilometri dall’arrivo e, tornando alla sfida dei professionisti, qualcuno potrebbe provare l’effetto sorpresa. I tornanti secchi poco dopo l’inizio sono un banco di prova attendibile per misurare la gamba. E se qualcuno in gruppo vorrà accendere la miccia per fare selezione rendendo la gara durissima o per provare una fuga temeraria a lunga gittata, il Miragolo è il terreno giusto per far esplodere la corsa. Salendo è difficile non lasciarsi incantare dal panorama mozzafiato: il profilo delle montagne sullo sfondo, la vallata sulla sinistra e tanto verde sulla destra. Il grande Felice Gimondi ha più volte confidato di essersi accorto dopo il ritiro dalle corse, con le uscite in bici scandite da ritmi più soft, di quanto fosse bella la sua Valle Brembana. Prima nei duri allenamenti da professionista condotti con la massima concentrazione e senza possibilità di distrarsi, non poteva rendersene conto così bene. Confermiamo le sensazioni del fuoriclasse di Sedrina. Salendo lungo le rampe ombrose del Miragolo che improvvisamente aprono il palcoscenico verso prospettive da urlo, non è possibile restare indifferenti: è una meraviglia.

Il Miragolo è più duro appena dopo l’inizio, poi c’è una fase di tregua e nel finale la strada s’inerpica ancora fino ai punti massimi di pendenza, poi si scende ancora in un falsopiano e il gran premio della montagna è posto in un tratto che già lancia verso la discesa che da Algua porta ad un incrocio. La discesa è stretta e tecnica in alcuni tratti, non particolarmente luminosa e meno male che le previsioni meteo sembrano strizzare l’occhio ad una giornata probabilmente baciata dal sole. In caso di pioggia, l’asfalto viscido avrebbe potuto creare problemi. Dicevamo dell’incrocio: da una parte si va a Bergamo, dall’altra si sale verso Selvino. La tentazione di girare la bici è forte ma stringiamo i denti. E il Selvino scalato dal versante brembano, francamente è piuttosto facile da domare. Qualche rampa in avvio ma poi la salita è costante, con pendenze regolari che spianano nel finale. La riflessione salendo in agilità è che in questa fase della corsa il punto di vista potrebbe cambiare in base alla strategia dei corridori.

La durezza del Selvino, che in sé non può fare la differenza, dipenderà dai ritmi tenuti e dalla capacità dei corridori di spingere lunghi rapporti sui falsopiani che portano nel centro della cittadina seriana. Il Giro è nel cuore di Selvino da tempo e lo capisci dalle tracce di rosa immancabili ai bordi della strada che diventano presenza dilagante man mano che ci si avvicina al culmine. Il Selvino non ha lasciato troppa ruggine nei muscoli ma appena si inizia la discesa verso Nembro, tornano in mente, come un’improvvisa folgorazione, le parole di Ivan Gotti in fase di presentazione della tappa. «Occhio alla discesa del Selvino – aveva profetizzato il due volte vincitore del Giro d’Italia –, guardano sempre tutti le salite, ma, secondo me, la Valdengo-Bergamo si può decidere anche con attacchi in discesa. Sarà importante saper disegnare le traiettorie giuste lungo i tornanti del Selvino».

Scendendo, bastano una piccola distrazione e una sbandata di troppo per comprendere quanto le intuizioni di Gotti, espresse mesi fa, fossero corrette. Al quarto tornante dedicato ad Antonio e Guglielmo Pesenti (sono 19 in tutto e ad ognuno è stato dato il nome di un campione: il primo scendendo è intitolato a Felice Gimondi, il secondo proprio a Gotti e il terzo a Paolo Savoldelli), infatti, siamo quasi costretti a mettere il piede a terra per correggere una parabola sbilenca. La riflessione di Gotti è saggia e chissà che non possa essere proprio la chiave della tappa. La strada per arrivare a Nembro comunque non è lunga e la sensazione che sia quasi interminabile è dovuta al fatto che bisogna mantenere sempre gli occhi aperti. È un continuo frenare e rilanciare la bici. Qui il «Falco» Savoldelli, soprattutto in condizioni atmosferiche difficili, avrebbe fatto numeri da capogiro. Arrivati a Nembro, ormai, siamo agli sgoccioli. Manca pochissimo: 16 chilometri strappo della Boccola compreso. Proprio Bergamo Alta potrebbe tenere tutti col fiato sospeso riservando qualche attimo finale di suspense. La Boccola fa male a chi ha un chilometraggio molto limitato nelle gambe come il sottoscritto. I professionisti, oggi, la berranno in un sorso. L’adrenalina, con il traguardo ormai distante solo qualche colpo di pedale, sarà a mille. L’arrivo dopo largo Porta Nuova, in viale Papa Giovanni XXIII, è quasi in picchiata. La nostra fatica termina qui, con la mente offuscata dalla stanchezza ma una certezza assoluta: oggi Bergamo sarà uno spettacolo rosa.

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