Ho sognato lo Stadium nerazzurro
E l’Atalanta che vince con gol di Pisani

Un racconto di Pier Carlo Capozzi, in viaggio tra i sogni e i ricordi. Anche di chi non c’è più...

Lo so perfettamente che non devo stendermi sul divano per guardare la televisione. Specialmente la sera tardi. E specialmente dopo aver cenato in allegra compagnia con gli amici di sempre, atalantini pure loro, coi quali avevamo appena rivissuto i fasti felici di un tempo che fu. E che sembra potersi riproporre. Lo so perfettamente che non devo stendermi sul divano, specialmente se mi tiro addosso la copertina coi cagnolini ricamati, che scalda parecchio e favorisce l’abbiocco. Lo so perfettamente che... zzz... zzz.

Sono piombato nelle braccia di Morfeo e, come inizio di un sogno tutto atalantino, converrete che non avrei potuto scegliere figura mitologica migliore. Sono sul pullman alla volta di Torino, al posto davanti c’è regolarmente Marcello Ginami, il fisioterapista, ma al volante c’è una faccia antica e familiare, quella di Aldo Bertola, autista ai tempi di Bianchi allenatore. La sorpresa continua perché, dietro di lui, ci sono Renzo Cividini e Giulio Ceruti, primo e secondo massaggiatore della cavalcata europea in Coppa delle Coppe che, con Ginami, discutono su unguenti e nuove tecniche d’intervento. Ci si ferma all’Autogrill di Novara, un classico per i pullman di tifosi, anche se, a ben pensarci, non ho ancora capito il nostro bus che natura abbia.

Perché scendono Geo Longhi Zanardi con la maglia dei Commandos, Flavio Carera vestito da «bimbo atalantino», ma anche Gasperini e Mondonico che parlano fitto fitto, lontano da orecchie indiscrete. Cesare Bortolotti scende con la sigaretta già accesa in bocca, non ne poteva più. Prendiamo tutti un caffè, eccezion fatta per Pasciullo che addenta un doppio Camogli.

L’arrivo a Torino è scenografico, con le Alpi innevate che fanno da corona. Lo Stadium è stracolmo, ma, curiosamente, è tutto uno sventolìo nerazzurro: ci sono 39mila tifosi bergamaschi, mentre, coperti dai cori e dagli sfottò, cercano di farsi sentire i duemila juventini del settore ospiti, al prezzo concordato di 70 euro a testa, popcorn esclusi. Annunciano il nome dell’arbitro: è Sbardella di Roma, quello della finale di Coppa Italia del ’63. Piero Gardoni, elegantissimo nel suo paltò color cammello, lo saluta dalla tribuna, mentre Virginio Togni sistema il prato e ci fa l’occhiolino.

Si comincia subito con l’Atalanta aggressiva e la Juve che gioca di rimessa, ma Pizzaballa è bravo a neutralizzare Higuain. Caniggia ed Evair, là davanti, sono sempre una spina nel fianco della Vecchia Signora e, in passato, anche qualcosa di più doloroso. Gasperini sposta Stromberg un po’ più avanti e gli effetti non tardano a concretizzarsi: traverzùn di Rambaudi e tiro al volo di Ezio Bertuzzo che scheggia il palo. La Juve è alle corde, ma per farla capitolare bisogna aspettare gli ultimi minuti.

Gasperini ha dato retta a Mondonico e da poco ha fatto entrare Pisani. Il monello col ciuffo ribelle entra velocissimo in area e trafigge Buffon con un tiro dei suoi. L’abbracciano Vieri e Morfeo e tutto lo Stadium impazzisce di gioia. Chicco, rientrando nella sua metà campo, manda un bacio a mamma Rosanna e babbo Enrico, saliti apposta dalla Garfagnana. E poi Sbardella fischia. Rifischia. E fischia. Rifischia. E fischia ancora. Ah no, è la sveglia, tra un contropiede e l’altro s’è fatta l’alba. Sono tutto sudato, adrenalinico, ma felice. Ricordo perfettamente l’azzurro delle nostre strisce, delle bandiere, del cielo e il verde del prato.

È risaputo che i sogni a colori siano i soli realizzabili. Ed è stato anche bello, per niente triste, riviverlo in compagnia di qualche amico che non c’è più, ma che ha scritto pagine importanti nella storia dell’Atalanta. Ci piace pensare che sia in corso una staffetta tra ieri e domani, tra chi ha sfiorato l’impresa e chi vorrebbe tentarci. E se non dovesse andar proprio così, beh, è stato splendido sognarlo.

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