Simone Moro e il coraggio della resa
«La rinuncia non significa perdere»

«La parola “rinuncia” ha qualcosa di virtuoso in montagna e dunque non può essere usata dai “nemici”, da chi ha sempre tifato contro da 25 anni».

Lo scrive l’alpinista bergamasco Simone Moro nel suo consueto «Il post» sulla rivista Orobie, che sarà in edicola il 23 giugno. Un appuntamento fisso per i lettori del mensile, al quale Moro non è mai mancato da oltre dieci anni, neppure quando era impegnato in spedizioni alpinistiche. Questa volta lo ha scritto proprio durante il viaggio di ritorno dal Kangchenjunga, la terza montagna più alta della Terra, in Nepal, sulla quale nelle scorse settimane aveva provato a compiere la prima traversata delle quattro cime di oltre 8.400 metri che compongono il massiccio montuoso. Fino alla rinuncia del 25 maggio. Simone Moro insieme a Tamara Lunger. «Non ci siamo riusciti – scrive ancora l’alpinista bergamasco su Orobie –, anzi non abbiamo nemmeno cominciato avendo rinunciato a 7.400 metri. “Rinunciato” a causa delle condizioni meteo, avverse per quasi due mesi; e per un mal di stomaco che mi ha colpito mentre provavamo a salire».

Simone Moro sottolinea che «la rinuncia non è “perdere”» e in uno dei passaggi scrive che oltre 100 mila persone lo hanno seguito e supportato in questa avventura. «Di questi – afferma Moro – una quarantina ha manifestato dissenso e ha attaccato questa mia rinuncia (…). Mi hanno scritto che devo rischiare di più per raggiungere il successo (…). Ora mi godo il vantaggio di questa rinuncia al Kangchenjunga».

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