Con L’Eco c’è «Bergamascamente»
Il libro con 500 modi di dire in dialetto

In abbinata al quotidiano con 6,90 euro in più. Un’opera curata da Umberto Zanetti. Ecco qualche esempio.

A partire da giovedì 9 novembre, sarà in edicola con L’Eco di Bergamo il volume «Bergamascamente». Scritto da Umberto Zanetti, poeta e scrittore, uno dei massimi esperti del nostro dialetto, il volume raccoglie e spiega 500 detti e modi di dire in bergamasco, 800 voci del Gaì (il gergo dei pastori) e 140 denominazioni di malattie, sempre in bergamasco. È edito da Lubrina editore e sarà venduto in abbinata al quotidiano dal 9 novembre al 27 dicembre 2017, a € 6,90 oltre al prezzo del giornale. Volete qualche esempio? Ve ne proponiamo 11, come una squadra di calcio.

http://www.ecodibergamo.it/videos/video/bergamascamente-da-domani-in-edicola-con-leco-di-bergamo_1034517_44/

’À là té che ègne a’ mé - «Va’ là tu che vengo anch’io». È il motto degli scansafatiche e dei lavativi, che mandano avanti gli altri e che giungono quando il più del lavoro è stato fatto per tentare di attribuirsene il merito. Si narra che Gioppino, soldato al fronte, fosse stato sorpreso mentre si allontanava dalla trincea. Egli non si perse d’animo e si giustificò dicendo: A ’ndó a ciamà chèi che i è restàcc indré, ‘Vado a chiamare quelli rimasti nelle retrovie’. Gli scioperati e i neghittosi hanno sempre pronta una scusa.

Ardà zó - Fin dall’antichità l’uomo invoca i celesti pregandoli di volgere verso la terra il loro sguardo benigno. Nelle avversità sorge spontaneo rivolgersi a Dio, ai santi e alle anime dei trapassati con un’accorata implorazione. Es.: Signùr, ardì zó!

A té bambo! - Al prossimo non si dà del bambo, ossia dello «sciocco» o del «bamboccio», senza una precisa ragione. Suona come un insulto se il termine è rivolto in segno di riprovazione ad una persona. Diventa però un benevolo rimprovero se si è in molta confidenza: può dirlo il padre al figlio, il fratello al fratello, l’amico all’amico sempre in tono scherzoso, senza l’intenzione di offendere. La vocale eufonica iniziale vale a conferire un tono colloquiale alla locuzione.

Cöntàla sö - Un proverbio bergamasco suona: Ognü l’ la cönta sö a la sò manéra, «ognuno racconta i fatti a suo modo» (un bell’endecasillabo). Detto antico e sempre attuale, che denunzia il malvezzo di riferire i fatti secondo la propria visuale. Gli storici sanno con quale prudenza è bene accostarsi alle vecchie cronache, che prendevano spesso partito per una causa piuttosto che per un’altra. Così anche oggi occorre diffidare dell’informazione perché spesso è manipolata, travisata, perfino falsificata da cicalatori prezzolati. Ma se io ho una mia idea ben ponderata non c’è barba di ciarlatano che me la faccia cambiare con töte i sò ciàcole, «con tutte le sue bubbole».

Dà öna resentada - Lett.: «Dare una risciacquata’ (lat.: recentare). Ma l’uso traslato è sempre minaccioso. Es.: Ghe la dó mé la resentada a chèl lé!, «gliela do io a quello un bella ripassata!». Nello stesso senso si usa la voce sopressada (tardo lat.: sub pressare, ‘stirare’). Non diversamente si può dire: Ghe la dó mé la pàtina!

Del bu - «Davvero’. Il vero è sempre buono, valido, come una moneta, che se l’è mia buna è falsa. A volte si è quasi increduli, si manifesta stupore e insieme si chiede conferma e lo si fa interrogativamente: Ma digherét del bu?, «ma dirai davvero?», domanda rispettosa e pensosa ad un tempo, con la cautela, il garbo e la delicatezza del futuro semplice in attesa di una definitiva assicurazione.

Desdàs fò - Un ragazzo pigro e imbambolato, che non era lesto ad apprendere un mestiere e che non si affrettava a compiere quanto gli era stato ordinato, un tempo era apostrofato con il termine indormét, forma participiale che dovrebbe rispondere all’italiano «dormente». In realtà dormente è colui che dorme; indormét invece indica non solo chi tende ad assopirsi ma anche chi non si accorge di quanto accade attorno a lui. L’indormét era perentoriamente invitato ad uscire dal suo torpore mentale e si sentiva rivolgere bruscamente l’imperativo: Dèsdes fò!, «svégliati!.

Fà dét ü mes-ciòt - Mes-ciòt, «guazzabuglio». Si va dall’intruglio immangiabile e indigesto alla confusione di oggetti, di idee, di argomenti. Fanno miscugli e guazzabugli le persone sconclusionate e inaffidabili, che per imperizia e faciloneria creano situazioni ingovernabili di disordine e di contrasto. Chi depreca le situazioni confuse e intricate invita a fà mia sö di mes-ciotade.

Fà sito - Non è vero che chi tace acconsente. Dalla grande tradizione del diritto romano proviene la sentenza: Qui tacet non utique fatetur, che può essere benissimo tradotto in bergamasco: Chi l’ fà sito l’ dis negót. Il vero consenso si esprime non tacendo ma mediante una manifestazione positiva. Chi tace può non aver ancora deciso che condotta seguire e prender tempo, può riservarsi di rispondere dopo aver ben meditato, può anche aver già deciso e attendere il tempo propizio per agire senza rivelare i suoi intenti. Altro che il silenzio/assenso della nostra miserrima ed elefantiaca burocrazia centralista!

Laùr de macc! - È commento esclamativo nel quale si prorompe apprendendo notizie incredibili che suscitano al contempo disappunto e sdegno. A Napoli dicono: Cose ’e pazze! Vuol dire che ne succedono anche là ed è una magra consolazione. Non è vero che la consolassiù di disperàcc l’è de èd i óter a ’ndà in malura, «la consolazione dei disperati è di vedere gli altri andare in rovina». Se Atene piange Sparta non ride.

Mocàla fò - «Smetterla, troncarla, ‘piantarla». Una discussione inutile e perfino controproducente può essere interrotta dicendo che l’è ura de mocàla fò, «è ora di finirla». Imperativamente assume forza perdendo l’avverbio di luogo; es.: móchela!, ‘finiscila!’. Potrà sembrare strano ma è da mettere in relazione con il latino mucus e con il gesto poco civile di usare una mano per togliersi una goccia dalle narici anziché ricorrere al fazzoletto da naso. Anche i soldati prussiani evitavano di usare il fazzoletto e si pulivano il naso nelle maniche della giacca. Per dissuadérli furono confezionate divise con una fila di bottoni su entrambe le maniche (ancor oggi sulle maniche delle giacche da uomo si applicano tre o quattro bottoni). Nello stesso senso imperativo di móchela! si ode anche desmètela!, smettila!, pièntela!, piantala!.

© RIPRODUZIONE RISERVATA