Dall’Albero degli Zoccoli a oggi - Video
«Anziani soli e giovani non socializzano»

L’ intervista Maria Teresa Brescianini, la vedova Runk della pellicola di Olmi parla del mondo di ieri e lancia un monito: «Siamo isolati, una volta l’ aia era un oratorio».

«La mamma vi aspetta nella stanza». La porta è già aperta, la mamma è seduta sulla sponda di un divano bianco. Golfino blu sul vestito grigio, una collana di perle, capelli bianchissimi raccolti all’ indietro, ci accoglie con sguardo curioso che scruta e una stretta di mano di chi ti dà fiducia al primo incontro. La mamma è Maria Teresa Brescianini, 82 candeline sulla carta d’ identità, 6 sorelle, 2 fratelli, 5 figli, 11 nipoti. Lei è la «vedova Runk», protagonista de «L’ albero degli zoccoli» di Ermanno Olmi. Pochi giorni fa, autorità, gente della zona e interpreti di allora si sono riuniti per programmare i festeggiamenti del film a 40 anni dalla Palma d’ oro conquistata al 31° Festival di Cannes Ci accoglie nella sua casa abbracciata dal verde, fuori dal centro storico di Palosco. Poche strade disegnano una campagna piena di serre. Lungo rogge e filari di gelsi sopravvivono cascinali sparsi. Si era perso fra questi tratturi, una sera di nebbia, Olmi e fu la fortuna di questo fazzoletto della Bassa: «D’ un tratto - ricorda il regista - imboccai per sbaglio un sentiero e mi trovai di fronte una cascina che era esattamente come la casa della mia infanzia. Avevo 46 anni e scoppiai a piangere».

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In quattro decenni, questa plaga bagnata dall’ Oglio ha cambiato faccia, tanto da divenire nodo viario cruciale e strategico per il nuovo Nord del Bel Paese. La Brebemi, la futura Treviglio-Bergamo, l’ Alta Velocità per Venezia scuotono le viscere di una terra contadina, depositaria di una cultura millenaria che rischia oblìo e sparizione. Certo, quella Bergamasca dipinta da Olmi, con i caseggiati rurali, le bestie, i granai, vere cassaforti dei contadini, non c’ è più. Ma c’ è qualcosa che resta e che ritrovi nella serenità di una donna di 82 anni che ti racconta un mondo dove al primo posto c’ erano lavoro e dignità della persona e nel dizionario dell’ epoca non esistevano parole come successo, comfort, denaro. «Mia mamma - dice la figlia Patrizia - sa cos’ è la felicità a costo zero, dote che si ha trasmesso. Non si è mai fatta vanto per il film. La sua è stata una vita straordinaria nella normalità».

Signora Maria Teresa, come è stato il primo incontro con Olmi?
«Mentre accompagnavo mio figlio al casting, mi notò e non staccò più i suoi occhi da me. La cosa mi mise un po’ in imbarazzo. Gli disse che non potevo aiutarlo, avevo troppo lavoro, un marito e 5 figli a casa cui badare. Un giorno mi portò il copione e me lo lesse. Mi sono subito rivista nella mia storia personale, anche se allora non ero vedova».

E sul set?
«Tanti ricordi e tante attese. Alcuni per timidezza dovevano ripetere anche trenta volte la battuta. A me per fortuna non è mai capitato».

E dopo l’ uscita del film?
«Sono stata invitata a parlare nelle scuole, per portare la storia dei contadini».

La racconti anche a noi.
«È una storia di povertà, ma ci bastava anche il nulla. Ci volevamo bene, le famiglie erano unite. Nella mia cascina c’ erano 2 famiglie, 40 persone, tutti gli uomini nei campi, 2 nonni, i saggi che davano consigli». (Sembra di vedere la scena di un quadro di Fattori o di Segantini Ndr).

Cosa rappresentava la cascina?
«Il cortile era un oratorio, ci trovavamo assieme, andavamo e tornavamo da scuola tutti assieme. Era come la piazza del paese, dove accadeva di tutto, giochi, liti, pianti e sorrisi. Rimpiango molto quel tempo».

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