Emergenza uova contaminate
«Le italiane senza pericoli». Ecco perchè

«La situazione sanitaria degli allevamenti avicoli è sotto controllo e notizie come quelle diffuse rischiano di allontanare ancora una volta, peraltro in modo ingiustificato, i consumatori dai prodotti avicoli». Lo segnala in un comunicato stampa della Consulta nazionale Agriturismo Turismo Alimentare campano che fornisce dei dettagli importanti a livello nazionale.

Anche l’Italia è però coinvolta nel caso delle uova contaminate da un insetticida: sequestrati prodotti mai messi in commercio provenienti da un’azienda francese che aveva usato uova di uno degli allevamenti olandesi coinvolti nell’uso del fipronil. Il Ministero della Salute rassicura: non risultano in Italia uova o ovoprodotti contaminati.

E la Consulta nazionale spiega: «Bisogna rassicurare i consumatori nessuna paura in quanto i prodotti avicoli italiani e campani sono sicuri, da aprile 2004 con legge Alemanno, è obbligatoria l’indicazione del sistema di allevamento, da riportare per esteso, sugli imballaggi nonché la timbratura di un codice alfanumerico sulle uova (tranciabilità) identificativo del sistema di allevamento praticato e dell’azienda produttrice, anche nel caso di vendita di uova sfuse, classificate».

«Abbiamo gli strumenti per capire, già nel 2004 c’è stata l’introduzione dell’etichettatura obbligatoria delle uova. L’iniziativa è servita ad illustrare il significato del codice alfanumerico, apposto su ogni singolo prodotto, e le differenze tra i vari sistemi di allevamento. In questo modo si sottolinea l’importanza della tracciabilità per mezzo della quale è possibile seguire il percorso di questo alimento universale, partendo dal luogo di allevamento, rafforzando così la fiducia di tutti i consumatori, aiutandoli ad una scelta d’acquisto più consapevole».

«Dal 1/01/2004 sono classificate nelle seguenti categorie di qualità:A= uova fresche (da consumo) B= uova di seconda qualità o declassate, destinate alla trasformazione in ovo prodotti o all’industria non alimentare. I loro imballaggi recano una stampigliatura da cui risulti chiaramente la destinazione. Dal 4/04/2004 con legge Alemanno, è obbligatoria l’indicazione del sistema di allevamento, da riportare per esteso, sugli imballaggi nonché la timbratura di un codice alfanumerico sulle uova (tracciabilità) identificativo del sistema di allevamento praticato e dell’azienda produttrice, anche nel caso di vendita di uova sfuse, classificate. In tal caso il significato del codice deve essere riportato in un apposito cartello posto accanto alle stesse. I sistemi di allevamento sono codificati come segue:0 = biologico 1 = all’aperto 2 = a terra 3 = in gabbia Esempio: 3 IT 001 TO 036, dove: 3: individua il metodo di allevamento delle galline ovaiole (in gabbia); IT: Italia, ovvero nell’esempio, lo Stato di produzione; 001: Codice Istat del Comune di ubicazione del produttore; TO: sigla della provincia di ubicazione del produttore; 036: codice identificativo del singolo allevamento di produzione».

«Dal 1/07/2005 è obbligatoria la timbratura del guscio delle uova con il predetto codice alfanumerico anche per quelle non classificate, vendute sfuse direttamente dal produttore al consumatore, presso il proprio allevamento o anche presso un mercato pubblico rionale. A tali indicazioni si aggiungono quelle già previste dalla precedente normativa, quali: Classificazione per categorie di PESO XL grandissime, oltre i 73 g; L grandi, da 63 g a 73 g; M medie, da 53 g a 63 g; S piccole, meno di 53 g. Data di “durata minima”: da apporre in etichetta preceduta dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro….”, non può superare i 28 giorni dalla deposizione;-La dicitura “EXTRA”, per le uova della categoria “A”, utilizzabile fino al 7° giorno dall’imballaggio o al 9° giorno dalla deposizione; trascorso tale periodo le uova possono essere commercializzate con il solo riferimento alla categoria A (avendo perduto la qualificazione di “extra”);-Marchio commerciale o d’impresa;-Altre date, come la “data di vendita raccomandata”, o termine ultimo per la vendita delle uova al consumatore (facoltativa), calcolata in 21 giorni dalla data di deposizione ed ottenuta sottraendo 7 giorni dalla data di durata minima (28 giorni), considerati come un ulteriore periodo per il consumo da parte del consumatore;-L’avvertenza a “Conservare le uova in frigorifero dopo l’acquisto”;-Indicazioni supplementari informative per il consumatore, purché formulate in modo tale da non trarre in inganno il consumatore. Gli allevamenti del nostro Paese, Campani e della Provincia di Napoli in particolare,sono sottoposti a rigidi e continui controlli e garantiscono qualità e salubrità e soprattutto il benessere animale. Per la necessità di garantire la massima sicurezza degli alimenti in commercio non deve tradursi in allarmismi ingiustificati che rischiano di determinare gravi conseguenze su mercati di prodotti come il pollo e le uova in commercio importante come quello della nostra nazione».

«Già dal 1° gennaio 2004 sono entrate in vigore le nuove indicazioni da apporre sull’etichettatura delle uova. Le nuove indicazioni che devono essere apposte sugli imballaggi e sulle uova riguardano la classificazione delle uova e la loro marchiatura. Per quanto attiene la classificazione, la normativa comunitaria prevede due categorie di qualità: o uova “A” (o “uova fresche”), destinate al consumo umano; o uova “B”, destinate alle industrie alimentari e non alimentari. Per quanto riguarda la marchiatura essa è costituita dall’indicazione del sistema di allevamento delle galline ovaiole riportata oltreché sugli imballaggi anche sulle uova di categoria “A”. In particolare sugli imballaggi delle uova dovrà essere riportata la dicitura relativa ad uno dei tre sistemi di allevamento previsti dalla normativa comunitaria: “Uova da allevamento all’aperto”, “Uova da allevamento a terra” e “Uova da allevamento in gabbie”, mentre le uova in essi contenute dovranno recare stampigliate sul guscio un codice che identifica oltre al sistema di allevamento delle ovaiole, il produttore e l’ubicazione dell’allevamento del tipo: (3IT001TO036). Nel caso di vendita di uova sciolte non classificate o di uova sfuse originariamente contenute in un grande imballaggio, dovrà essere spiegato su di un cartello separato o sul contenitore delle uova il significato del codice distintivo del produttore o il sistema di allevamento delle ovaiole La situazione sanitaria del nostro sistema produttivo, è costantemente sotto controllo dagli organi preposti che danno garanzia ai produttori della filiera avicola campana e tutelano il consumatore finale».

Ma non tutti sono d’accordo, in riferimento alla produzione europea.

«È da mesi che questa patata bollente gira e la verità è che non ci sono autorità competenti per fermare la diffusione delle uova contaminate. Assistiamo a due governi dell’Ue che si rimpallano le accuse, mentre le nostre autorità cercano di rassicurare, anche se nessuno sa esattamente quale sia la deambulazione della merce da uno Stato all’altro. Se questo è il libero mercato, non possiamo non dire che applicato all’alimentare sia un vero disastro». Lo afferma il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, intervistato da Stampa e Manifesto e autore di un intervento su Repubblica. Lo scandalo delle uova «sta dimostrando tutti i limiti e le distorsioni del sistema», dice Petrini, secondo cui si tratta della «estrema conseguenza di una produzione intensiva affidata a logiche industriali che non guardano affatto alla qualità, ma solo alla quantità». «Il caso delle uova contaminate è la dimostrazione di come siano trattate diversamente le produzioni agricole di massa, quelle delle multinazionali che stanno dentro ai grandi accordi internazionali, a cui si permette tutto per poi scoprire che sono meno sicure dell’agricoltura di scala, a cui invece vengono imposte regole sanitarie iperigienistiche e coercitive», sottolinea Petrini, che si dice «esterrefatto per come l’Unione europea ha portato avanti caparbiamente quest’apertura al mercato». «Non si può pensare che le merci circolino senza controllo da uno Stato all’altro se a monte non ci sono standard comuni, a maggior ragione se consideriamo che sono oggi in discussione trattati globali come Ceta e Ttip, dove non esiste nemmeno una base giuridica comune come quella assicurata dall’ordinamento europeo», aggiunge Petrini, secondo cui «occorre togliere il segreto sulla destinazione finale dell’import di tutti i prodotti alimentari. Assicurando, in tal modo, una tracciabilità vera di tutta la filiera, un’etichetta che racconti ogni singolo passaggio degli ingredienti».

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