Il chirurgo del primo trapianto di faccia
«Come ricostruire la capacità di sorridere»

Il 26 novembre 2005, Benoît Lengelé, anatomista e chirurgo facciale belga, insieme ai colleghi Bernard Dechauvelle e Sylvie Testelin realizza all’ospedale universitario di Amiens, il primo allotrapianto parziale di faccia per ricostruire il viso di Isabelle Dinoire, una donna sbranata dal suo stesso cane.

Il trapianto del triangolo centrale del volto, naso-bocca, riesce: Isabelle recupera la mobilità facciale. La donna è morta il 22 aprile di quest’anno, per un cancro. Sono oggi una trentina nel mondo le persone che hanno affrontato un trapianto di faccia da donatore. Benoit Lengelé, 54 anni, docente all’Università di Lovanio e membro dell’Accademia reale di medicina del Belgio, parlerà della sua esperienza a BergamoScienza oggi, domenica 2 ottobre, alle 14,30 al Teatro Donizetti.

Professor Lengelé, il primo incredibile trapianto di faccia è stato nel 2005. Quali sono stati i progressi tecnici da allora?

«La maggior parte dei problemi tecnici e chirurgici erano stati affrontati al tempo del primo tentativo riuscito, 11 anni fa. C’è stata moltissima ricerca anatomica e tecnica dietro quella prima volta. Sono stati progettati vari tipi di potenziali trapianti di faccia con i relativi protocolli chirurgici, che erano stati descritti in dettaglio e, dopo il primo trapianto, sono stati resi disponibili per le équipe che nel mondo stessero progettando trapianti simili. Tuttavia, ogni paziente è diverso dall’altro. Le tecniche chirurgiche di base sono state raffinate per permettere il trapianto di sempre maggiori porzioni del volto: da una parte della sezione inferiore del volto a mezza faccia, al volto intero. Altri perfezionamenti sono stati necessari per poter includere nel trapianto le ossa facciali, le ghiandole salivari, le ghiandole lacrimali e, in due casi, anche la lingua. A oggi, nel mondo, sono stati realizzati 35 trapianti del volto. Ciascuno differisce lievemente dagli altri per i tessuti che contiene e nell’estensione della superficie. A questo punto, possiamo ritenere di aver esplorato tutta la gamma delle principali variazioni, dalle più piccole alle maggiori. Questo dimostra la versatilità plastica e le potenzialità adattative della nostra idea di base e di questa tecnica senza precedenti».

Qual è il tasso di rischio per il paziente in questo tipo di trapianto?

«Abbiamo imparato che i rischi maggiori non sono quelli che pensavamo all’inizio. La procedura chirurgica è impegnativa per l’équipe, ma sicura per il paziente. Il rischio di rigetto immediato è controllato con facilità con i convenzionali farmaci immunosoppressivi, come accade per il trapianto di organi interni come cuore o reni. Ma gli immunosoppressivi espongono i nostri pazienti a un rischio più alto di sviluppare infezioni severe e anche alcuni tipi di cancro della pelle e linfomi. I pazienti trapiantati possono anche sviluppare patologie come ipertensione, diabete, osteoporosi, come tutti coloro che hanno subito un trapianto d’organo. Recentemente, inoltre, abbiamo imparato che i trapianti complessi di più tessuti, come nel volto e nelle mani, sviluppano segni cronici di rigetto e che la durata del trapianto, come del resto accade per il rene, varia fra i 10 e i 15 anni, che è già un vantaggio enorme per il paziente. Sui 35 pazienti con trapianto del volto, alcuni sono però già morti, compresa Isabelle Dinoire, la prima paziente che trapiantammo nel 2005. Isabelle sfortunatamente ha sviluppato un raro tipo di cancro ai polmoni, che tuttavia non è legato al trapianto né ai farmaci che prendeva. Perciò, per quanto lei ci manchi come persona, la sua morte non è una ragione valida per interrompere i trapianti di volto. Isabelle ha avuto un decennio di vita piena e soddisfacente, con un enorme beneficio psicologico, funzionale ed estetico. Diceva di sentirsi infine a suo agio con la sua faccia trapiantata. A noi spetta però di continuare la ricerca, per aumentare la tolleranza biologica del trapianto e ridurre gli effetti collaterali dei farmaci».

I trapianti facciali possono essere utili nel caso di ustioni da fuoco o sostanze chimiche?

«Sì, certamente. Abbiamo avuto dei buoni risultati con molti pazienti trapiantati negli Stati Uniti, soprattutto soldati sfigurati da ferite di guerra o ustioni. L’esercito degli Stati Uniti è convinto dell’enorme potenziale di questa tecnica per aiutare i veterani colpiti in azione e sta facendo molto per ottenere fondi per continuare la ricerca».

Sembra di capire che, nonostante il risultato finale sia una faccia un poco diversa, tuttavia il paziente non perde le proprie espressioni caratteristiche e quindi la persona resta pienamente riconoscibile. È così?

«La nuova faccia del paziente trapiantato assomiglia molto più alla faccia che aveva prima dell’incidente, piuttosto che a quella del donatore. Specialmente quando le ossa facciali sono intatte e il trapianto riguarda solo tessuti molli. Con queste condizioni, il tessuto trapiantato si adatta ai lineamenti e all’identità della faccia originale, perché questi aspetti dipendono soprattutto dalla morfologia dello scheletro. Se invece nel trapianto sono comprese anche le ossa, allora la differenza, tra la vecchia faccia e quella nuova, aumenta. Ma il fattore decisivo è che la nuova faccia è connessa al cervello del paziente attraverso i nervi motori, che sono i responsabili per i movimenti e gli aspetti sensoriali che danno vita alle espressioni. Così, col tempo, il paziente recupera progressivamente la capacità di esprimere sentimenti ed emozioni, gioia e tristezza, con il normale linguaggio del volto fatto di rughe e sorrisi, cioè di piccoli e peculiari movimenti superficiali della pelle. Dal punto vista funzionale, la faccia trapiantata appartiene molto di più al ricevente che al donatore, che in fondo ha dato solo i tessuti necessari alla ricostruzione. Siamo stati in grado di dimostrare, attraverso la risonanza magnetica funzionale, che l’impatto positivo progressivo della faccia ricostruita è correlato con modificazioni simultanee nelle aree preposte del cervello del trapiantato. Ciò indica che il trapianto facciale è via via reintegrato nella rappresentazione dello schema corporeo a livello corticale e che quindi il nuovo volto è riconosciuto dal cervello del paziente come elemento proprio». 


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