Katiuscia: «Con l’arte ho controllato
le crisi di panico, veri uragani interiori»

Katiuscia Alfano racconta di un equilibrio che si è spezzato, poi il cammino di ripresa totale fino alla maternità.

«Sono come una pianta nata fra i sassi. Storta, malfatta, ma forte, con le radici salde»: Katiuscia Alfano s’immagina così, e lo dice, oggi, con uno sguardo sereno. Come quegli steli ostinati che si insinuano tra una pietra e l’altra, a ciuffi, nei muri delle case antiche di Città Alta, lei ha trovato una strada per fiorire comunque, per essere felice nonostante i suoi demoni. Ha dovuto combattere con un nemico subdolo: il panico. Una sensazione ingombrante, fluida, che entra in circolo veloce, come il veleno di un serpente, e può avere lo stesso effetto: paralizzare ogni muscolo, finché la vita diventa impossibile. Katiuscia, però, ha trovato i suoi antidoti: l’arte, che è da sempre la sua vocazione, poi la fiducia in se stessa, l’amore, forze ancora più potenti.

«Bisogna avere in sé il caos – scriveva Friedrich Nietzsche – per partorire una stella che danzi». Katiuscia ha sentito per anni crescere nell’anima un magma di emozioni così intricate e selvagge che a un certo punto ha perso il controllo. Fino a 18 anni ha vissuto a Brembate, e ha frequentato il liceo artistico a Bergamo. Poi, in un giorno come tanti, all’improvviso, questo equilibrio funambolico è andato in pezzi: «Ero appena uscita dall’accademia – spiega Katiuscia –, stavo andando a lavorare. È successo così, mentre ero in macchina, senza segni premonitori. Ho avvertito un’oppressione al petto, il cuore batteva ad altissima velocità, facevo fatica a respirare. Credevo che si trattasse di un infarto. Ero in pieno centro, in via Camozzi. Ho lasciato l’auto accanto alla pensilina dell’autobus e mi sono precipitata a casa di un amico di mio padre, lì vicino, per chiedergli aiuto. La tachicardia non passava, pensavo che sarei morta da un momento all’altro. Invece, dagli accertamenti medici è emerso che il mio malessere non era fisico ma di natura psicologica». Prima la solitudine, dopo la perdita del lavoro e la lenta rinascita.

Sono passati diciotto anni da quella prima crisi e Katiuscia ha fatto passi da gigante. Ha una bambina, Agata, 5 anni, e la sua nascita ha segnato uno spartiacque: «Mi sono resa conto, come ogni madre, della potenza che c’è in noi, anche se ci sentiamo fragilissimi. Riuscire a dare alla luce una bambina è stato meraviglioso, mi ha fatto prendere coscienza di me stessa in modo nuovo. Sono cresciuta con lei». Ha ripreso slancio e coraggio, ha ritrovato il suo nucleo originario, ha scoperto che da qualche parte, dentro di lei, i suoi sogni erano ancora intatti.

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