Libia, lo schiaffo
francese all’italia

La politica estera italiana ha un suo punto nevralgico ed è quello della Libia. La questione migranti grava sulle spalle italiane anche se in Europa si guarda al problema con occhio disincantato. Il concetto di fondo è : sono questioni vostre e ve le dovete sbrigare da soli. Ma vi è anche una questione strategica che va considerata ed è la centralità della Libia nello scacchiere medio orientale. Il califfato dell’Isis sta subendo sconfitte in Iraq e in Siria e la tentazione dei fuoriusciti del terrorismo organizzato è di trasferirsi nella zona desertica dell’ex colonia italiana.

La guerra civile che attraversa il Paese dopo la caduta del regime di Gheddafi favorisce gli estremismi, il traffico illegale di armi e gli scafisti. A fronte di un Paese lacerato da fazioni e lotte di potere l’obiettivo italiano è sempre stato di non immischiarsi direttamente nelle vicende politiche locali. La condizione di ex potenza coloniale rende ogni azione italiana passibile di sospetto. L’idea che l’Italia voglia trarre vantaggio dalla situazione di instabilità è diffusa e certamente sarebbe un fattore scatenante per una ribellione generalizzata contro la prepotenza dello straniero. Da qui la prudenza della politica estera italiana. La presenza italiana può trovare una sua giustificazione solo sotto la guida delle Nazioni Unite. È stato il mantra di ogni presa di posizione del governo italiano sulla questione libica, gli italiani hanno interessi rilevanti nella regione. Si pensi solo ai pozzi di petrolio e la presenza dell’Eni nella politica delle concessioni di estrazione e gestione dei giacimenti. Ma il profilo è sempre stato basso per non urtare le suscettibilità dell’ex colonia.

Questo meritorio tentativo di emanciparsi dalle colpe del passato e di offrire un volto nuovo e cooperativo è stato equivocato come un atteggiamento imbelle privo di iniziativa. Hanno purtroppo giovato a queste considerazioni gli insuccessi dell’azione dell’Onu . Lo spagnolo Bernardino Leon, inviato dalle Nazioni Uniti, ha fallito nel tentativo di conciliazione e poi con nonchalance è passato al soldo di una fondazione del Qatar cioè di una parte in causa del conflitto mediorientale peraltro sospettata di finanziare il terrorismo islamico. Il suo successore Martin Kobler non ha avuto maggior successo. Da buon tedesco ha cercato di far sistema ma in Libia non è facile e si ritirato in buon ordine.

L’Italia ha fatto da spettatrice senza rendersi conto che non basta il nome di Nazioni Unite se non vi è alle spalle un progetto politico praticabile. Si è quindi creato in Libia uno spazio di intervento che i francesi si sono subito premurati di occupare. Emmanuel Macron ho convocato all’Eliseo il premier voluto dalla comunità internazionale Fayez al Serraj ma di fatto privo di un potere effettivo e il generale Khalifa Belqasim Haftar che invece il potere, quantomeno in Cirenaica, se lo è preso e se lo tiene ben stretto. Adesso Parigi può annunciare il raggiungimento del cessate il fuoco con la promessa di elezioni libere. Per il governo francese è il successo che è mancato all’Onu, e per il governo italiano la conferma di aver scelto l’uomo sbagliato. Appoggiare un uomo voluto dalle Nazioni Unite è eticamente corretto ma politicamente non porta a nulla perché l’uomo sin dall’inizio è apparso troppo debole per poter segnare un mutamento radicale dello scenario libico. Il vero uomo di potere è l’ex generale di Gheddafi, esiliato in America e tornato in patria con finanziamenti esterni. Su questo hanno puntato i francesi sin dall’inizio. Resta l’amarezza di sentirsi per la seconda volta scavalcati dall’alleato e amico francese. Nicolas Sarkozy, contro il volere dell’Italia, nel 2011 aveva dato inizio alla cacciata di Gheddafi con risultato di far cadere la Libia nella guerra civile. Adesso a Parigi si presentano come salvatori della patria. È la grandeur. Cambiano i presidenti ma la Francia è la stessa. Solo a Roma sembrano non saperlo.

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