«Non mi piacevo e mi facevo del male»
La fatica di superare l’adolescenza

La storia di una diciottenne che ha riscoperto la vita con un percorso di sostegno tramite Kaleido.

All’inizio il silenzio di una creatura solitaria è come nebbia: basta un po’ di vento per dissiparlo. Bastano un sorriso e una parola gentile. Col tempo, però, se quella nebbia si addensa, può diventare una corazza impenetrabile, che impedisce al mondo di entrare e alle emozioni, all’energia «interna», di uscire. Come un muro intorno all’anima che soffoca speranze e sogni. Maria era poco più di una bambina quando all’improvviso si è sentita circondata dalle ombre: «Era come se il mondo fosse fatto di filo spinato – racconta – e mi si avvolgesse intorno in una morsa mortale. Non mi piacevo più, non riuscivo più ad accettare niente di me: i lineamenti del viso, la pettinatura, i miei vestiti».

Si è chiusa nel suo silenzio, perché non si voleva più bene: il suo corpo le sembrava estraneo, come un bozzolo che non le lasciava spazio per aprire le ali e spiccare il volo. In preda a un’angoscia profonda e senza nome, sotto l’assedio di emozioni troppo forti, si procurava da sola ferite sulle braccia e sulle gambe che mettevano a nudo la sua sofferenza, la portavano violentemente in superficie. Era uno sfogo segreto, oscuro, di cui non voleva parlare: «Mi nascondevo in bagno. Erano tagli piccoli, non si vedevano. Non lo sapeva nessuno». L’autolesionismo non è un disturbo così raro: secondo alcuni studi nazionali di psicologia durante l’adolescenza ne soffrono il 20 per cento dei ragazzi da un’età di 12-13 anni in su, proprio come Maria.

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