Ti piacerebbe il telelavoro?
Gli italiani restano indietro

Togli lo stress per recarti al lavoro, il traffico, la spesa per i mezzi pubblici o la benzina, e quindi anche un po’ di inquinamento. Togli l’ansia e i ritardi e magari anche qualche collega che non hai voglia di incontrare. Il telelavoro risolve tanti problemi e sicuramente garantisce maggiore flessibilità, riduce costi aziendali e avvicina il lavoro e la vita privata.

Ma non tutto è così semplice perchè ci sono delle regole ferree anche qui come le normative sulla postazione lavorativa che deve rispettare gli stessi standard di salute, sicurezza ed ergonomia di un ufficio. Occorre poi una tutela dei dati aziendali, con molti dubbi in ambito relazionale: chi lavora a distanza ha le stesse possibilità di carriera degli altri? C’è un orario da rispettare o regna la reperibilità totale? Starsene a casa fa perdere opportunità e stimoli a migliorare?

Domande di un’era che sta cambiando, con l’Italia che però fatica a ingranare sul telelavoro. Le statistiche dicono che in questi anni di flessibilità crescente questa forma di impiego ha fatto i passi del gambero nel nostro Paese. L’Unione europea ha disciplinato il telelavoro con un accordo quadro nel 2002 recepito con un accordo interconfederale nel 2004. Da allora, secondo l’ufficio statistico dell’Ue, la quota di italiani occupati tra 15 e 64 anni che lavora da casa è addirittura diminuita: era pari al 5,2 per cento nel 2006, è scesa al 4,4 nel 2010 e tale è rimasta anche nel 2015.

Siamo al 23° posto tra i 28 Paesi dell’Ue, seguiti da nazioni con economie molto arretrate: Croazia, Cipro, Lettonia, Bulgaria, Romania. Perfino Malta e Lituania fanno meglio di noi. Il record nell’Unione spetta all’Olanda, dove quasi 37 lavoratori su cento operano a distanza. In Lussemburgo il rapporto è pari a un terzo. Seguono i Paesi baltici: Danimarca 29,5, Svezia 27,7, Finlandia 26,3. Nelle nazioni con un elevato welfare si registra anche una notevole flessibilità nell’organizzazione del lavoro. La media europea era dell’11,8 per cento nel 2006: nel 2015 è salita al 14,5.

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