Torna il tormentone «Stop ai compiti»
«Non sono carceriere di mio figlio»

Puntale come l’allarme afa, anche quest’anno è arrivata la polemica sui compiti delle vacanze. A lanciarla è sempre lui, Maurizio Parodi. Chi è costui?

Autore di «Basta compiti, non è così che s’impara», negli ultimi anni è stato il promotore di molte campagna per chiedere l’abolizione dei compiti. L’ultima in ordine di tempo è di pochi giorni fa. Stavolta Parodi non si presenta come dirigente scolastico, ma come padre che impedirà al figlio di passare l’estate tra divisioni, analisi logica e comprensione del testo. Il suo appello è stato condiviso da migliaia di persone sui social network, per la maggior parte genitori d’accordo con lui: «Informo i docenti che mio figlio non svolgerà i compiti assegnati per le vacanze. Perché come tutti i lavoratori ha “diritto al riposo e allo svago” – si legge nel testo della breve mail -. Perché le vacanze sono degli studenti e non (solo) dei docenti. Perché così potrà finalmente dedicarsi a occupazioni creative e ricreative. Perché voglio fare il genitore e non l’insegnante di complemento, il carceriere, l’aguzzino».

Inevitabili i commenti pro o contro una posizione nata apposta per dividere. A febbraio Parodi aveva lanciato anche una petizione. La sottoscrizione online chiedeva di abolire i compiti nella scuola dell’obbligo perché «sono inutili – si legge nel testo della petizione –: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche...) hanno durata brevissima: non “insegnano”, non lasciano il “segno”; dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione».

E ancora: «Sono dannosi: procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio; sono discriminanti: avvantaggiano gli studenti avvantaggiati, quelli che hanno genitori premurosi e istruiti, e penalizzano chi vive in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta».

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