Bici col motorino
ed eroi d’altri tempi

L’hanno beccata con uno scanner. Come all’aeroporto ti trovano una monetina dimenticata in tasca, alle gare di ciclismo sono capacissimi di trovarti un «motorino» nella canna della bici. Pensa te, al giorno d’oggi, uno non è nemmeno più libero di barare come gli pare. C’era chi cacciava giù improbabili beveroni, chi si spavava direttamente in vena il suo sangue «potenziato», chi versava nel serbatoio benzina super che più super non si può.

I sospetti sul ciclismo «motorizzato» c’erano da qualche tempo, e da sabato sono diventati una certezza. La nuova frontiera del doping non è la pasticchetta magica che s’infratta nella provetta della pipì alla faccia dei controlli antidoping, né l’estratto di corna di brontosauro acquisato su improbabili siti asiatici con pacchettini anonimi. La nuova frontiera è la scoperta dell’acqua calda: se ci metti un motorino, la bici va più forte. Peccato che diventi un altro sport, come se un equipaggio si presentasse sulle Mura, alla gara delle cassette di sapone, con una McLaren esteticamente a pedali, ma con 700 cavalli ben nascosti sotto il cofano.

Ci scherziamo su per non piangere. Perché se pur di vincere un Mondiale di ciclocross si arriva a questo, significa che lo sport - in generale, non solo il ciclismo - è messo male, male tanto. Solo nel calcio italiano ci sono tre inchieste in corso: calcioscommesse, inchiesta Infront sui diritti tv, inchiesta evasione fiscale. Sorvoliamo sul calcio internazionale, con Blatter, Platini, mondiali assegnati in abbinamento alla gara della bustarella e compagnia rubante. L’atletica è sconvolta dal caso della Russia. Il tennis sta scoprendo (buon ultimo, o quasi) che c’è chi si vende le partite. Il motomondiale è finito com’è finito e nella Formula 1 i furbetti sono sempre in agguato.

Tutto questo per dire che questo è l’anno olimpico, e lo sport è ridotto a passare le bici sotto lo scanner per trovare i motorini. C’è da preoccuparsi, e parecchio. Vedremo tanti ori luccicare sui podi di Rio, in estate. E fa tristezza pensare a quanti sospetti avremo sugli atleti, magari pulitissimi, che singhiozzeranno ascoltando i loro inni nazionali. Per ora, il nostro oro va a Guglielmo Rinaldi, classe 1936, di Bergamo. Ieri, alla Marcialonga, ci ha dato dentro per quasi dieci ore, ma è arrivato in fondo ai 70 chilometri. E lì, statene certi: il motorino è tutto nelle braccia.

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