Ma Dante non ci sta:
Il bergamasco? Barbarissimo

Il dialetto bergamasco? L'argomento tira. E non solo dentro le mura della città orobiche. La nostra favella desta interesse ogni qualvolta la si pronuncia e - periodicamente - diventa oggetto di dibattiti, discussioni e anche polemiche. Il botta e risposta - per usare un eufemismo - attorno alla parola «Berghém» sul gonfalone della Provincia è lì a dimostrarlo.Adesso si cerca un'altra strada. Esperimenti come quello di TelePadania di leggere i classici in dialetto non è di certo nuovo. Quelli del Ducato di Piazza Pontida lo sanno bene e hanno messo in vernacolo persino Pinocchio per fare un esempio.

Chi però non sarebbe contento di una lettura in lingua orobica sarebbe certamente lo stesso Dante. A TelePadania si leggerà il Primo Canto dell'Inferno, ma l'Alighieri, siamo sicuri, manderebbe per primi proprio i  padani fra le fiamme eterne.

Motivo? Semplice. Il Sommo Poeta proprio non digeriva il dialetto bergamasco, tanto da pugnalarlo nel «De Vulgari Eloquentia», definendolo «Riprovevole e barbarissimo», soprattutto per la pronuncia e la fonetica. Figuriamoci allora sentir recitare la sua Divina in vernacolo orobico.  Altri nei secoli hanno comunque calcato la mano: Fazio degli Uberti («il bergamasco grosso parla»), Maximilien Misson («dialetto ridicolo»), Leandro Alberti («popolo rozo di parlare»).

La penserebbe diversamente Petrarca, che a Bergamo nel 1359 non badò alla favella orobica, ma all'«acuto ingegno» dell'orafo Capra.
Per par condicio o per salvar capra e cavoli, quelli di TelePadania avrebbero potuto pensare a qualche riga del Canzoniere. Per rimediare c'è comunque ancora tempo.

Emanuele Roncalli

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