Artisti di strada, sorrisi a passeggio
Il Buskers Festival continua domenica

Che cos'è un busker? No, riponete nel cassetto la vostra traduzione letterale, oppure, nel caso non l'abbiate a portata di mano, evitate ricorsi a wikipedia, enciclopedie impolverate e affini: che si stia parlando di artisti di strada è fuor di dubbio.

Che cos'è un busker? No, riponete nel cassetto la vostra traduzione letterale, oppure, nel caso non l'abbiate a portata di mano, evitate ricorsi a wikipedia, enciclopedie impolverate e affini: che si stia parlando di artisti di strada è fuor di dubbio, ma dietro a una fredda definizione si cela un intero mondo colorato da un'infinità di declinazioni.

Un busker se ne sta in strada ad esibirsi: ma al di là delle ramificazioni relative alla stessa arte proposta - si può parlare di clown, giocolieri, musicanti o circensi -, può totalmente variare la filosofia che spinge lo stesso artista a spingersi in una determinata direzione. Può essere un ideale da seguire, una moda, una maniera di fare soldi piuttosto che di vivere la vita: nel terzo millennio, persino internet e le tecnologie hanno finito per sconvolgere una realtà che fino a pochi anni fa doveva essere la più semplice.

Tra gli ottanta partecipanti al primo Bergamo Buskers Festival, se ne vedono di tutti i colori: il veterano, il neofita, il filosofo, l'innovatore. Chi, più di tutti, riassume alla perfezione l'essenza dell'arte da strada è forse Giosuè Kamel, ventiquattro anni, la maggior parte dei quali spesi in un'esistenza ordinaria, prima della folgorazione: «Ho capito che la vita vola via e non serve inseguire certezze: ho vissuto fino all'anno scorso con la tranquillità di un lavoro e di una casa, ma mi sono accorto che sbagliavo», filosofeggia poco prima dell'inizio del suo show.

Chi a Bergamo gode di una certa fama è Mr. Mojo Little Jass Band, un'infinità di nomi e di competenze per riassumere una sola persona, Maurizio Bolis, trentuno anni, nato in Franciacorta, ma bergamasco di adozione: capelli rasta e un grande armamentario che va oltre quello classico di un one man band. Armonica, voce, ukulele o banjo e scarpette da tip tap che battono sulle lamiere: un percorso iniziato una decina di anni fa a Dublino, patria mondiale dei buskers, con due biglietti di sola andata in aereo, uno per lui, uno per la sua chitarra.

Leggi di più su L'Eco di domenica 15 settembre

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