Shakesperare e la «bergamask»
nel «Sogno» in scena alla Scala

Il sogno dell’Italia di Shakespeare. Sappiamo quanto in età elisabettiana gli inglesi fossero amanti della cultura italiana. Forse lo strumento più influente per il Bardo nel legarlo al Belpaese, alle sue tradizioni, il suo teatro (le maschere della Commedia dell’Arte, l’opera del Machiavelli, del Castiglione, ma anche dell’Ariosto), alla sua lingua, furono i libri di John Florio, in primis Second Fruites, un testo bilingue pubblicato nel 1591, che spiegava le basi della nostra lingua e delle nostre peculiarità artistiche.

Qui trovò riferimenti alla «bergamask», che citò nel finale del quinto atto del Sogno di una notte di mezza estate. Vedremo questa storia a giorni, nella versione balletto in due atti, alla Scala. La prima il 5 (le repliche, dal 7 al 10 e poi il 14, 15 e 18, spettacolo riservato; informazioni: 02-861147), su coreografie di George Balanchine, scene e costumi di Luisa Spinatelli. Con le étoiles, solo il 5, 8 e 10, Roberto Bolle e Massimo Murru e l’artista ospite Polina Semionova.

La danza è nata a Bergamo, si crede, nel XVI secolo. Il Tiraboschi nel suo vocabolario definisce la bergamasca «una sorta di ballo rusticale». Anche Johann Sebastian Bach conosceva la «bergamask», tanto da usarne un tema nelle sue celeberrime «Variazioni Goldberg». 

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