Bassa: il leggendario lago Gerundo
Ora la sua storia è raccontata in un libro

Anticamente una parte della Bassa bergamasca, all’incirca l’attuale zona della Gera d’Adda, era ricoperta da un vasto specchio d’acqua: un lago a tutti gli effetti, che sorgeva al confine con le attuali province di Milano, Cremona e Lodi.

Si chiamava Gerundo, si estendeva per circa duecento chilometri quadrati e si è prosciugato definitivamente attorno all’Anno Mille, ridotto a qualche sparuta palude. Oggi di quell’antico e a tratti leggendario lago restano tracce nella toponomastica della zona (il termine «gera», che significa ghiaia, è infatti presente in molti nomi di paesi e strade), ma anche nella geografia del territorio: in alcuni paesi, come Pontirolo, Treviglio, Casirate e Arzago, è ancora ben visibile la «sponda» del lago che non c’è più. La storia di questo lago di pianura, dalla sua origine alla sua leggendaria scomparsa, è ora raccolta, per la prima volta in maniera dettagliata e articolata, in un libro, intitolato «Lago Gerundo tra storia e leggenda» e scritto da Fabio Conti, giornalista de L’Eco di Bergamo e appassionato di storia locale.

Nella stessa Pianura padana la leggenda del Gerundo è conosciuta soltanto in modo generico: di qui l’idea di Conti di effettuare una ricerca approfondita. Il territorio dell’antico lago è ancora strettamente legato all’acqua, tra fontanili, canali e fiumi. Tra questi un caso a parte è il Tormo: si tratta infatti dell’unico fiume italiano che nasce in pianura, ad Arzago, e che alimentava, con Adda, Brembo, Serio e Molgora, appunto il Gerundo. Il lago - racconta il libro - raggiunse la sua massima espansione probabilmente tra il cinque e il tremila avanti Cristo, proprio quando l’uomo arrivò per la prima volta in quel territorio: cacciando e vivendo - guarda caso - su palafitte, si spostava sulle acque paludose del lago grazie a piroghe monossili, imbarcazioni molto elementari, realizzate con un tronco d’albero scavato. Alcune sono arrivate fino a noi: tra queste, il volume cita quella custodita nell’abbazia di Abbadia Cerreto, nel Cremasco.

Col passare dei millenni il lago si prosciugò, in parte in modo naturale (del resto durante le glaciazioni l’intera Pianura padana era ricoperta d’acqua), in parte grazie all’uomo, che da subito comprese il potenziale, anche economico, del territorio del Gerundo: prima i Romani tentarono un’opera di bonifica, ma la svolta arrivò nel Medioevo, grazie ai monaci, benedettini e cistercensi. Un’intera parte del libro è inoltre interamente dedicata a Tarantasio, il mostro - drago o biscione che fosse - del Gerundo: per la prima volta vengono raccontate tutte le leggende sulla sua uccisione, la più nota delle quali è quella avvenuta per opera del capostipite dei Visconti, che poi inserì nello stemma della casata il simbolo del biscione, in seguito ripreso da varie realtà come l’Alfa Romeo, la Fininvest e l’Inter.

Il libro, edito da Meravigli di Milano e disponibile in tutte le librerie della Lombardia, ha 160 pagine tutte a colori e oltre 250 fotografie: sarà presentato sabato 8 ottobre, alle 16,30, al Museo Archeologico di Milano (via Nirone, 7).

Fabrizio Boschi

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