Bolidi anni ’30, le Mura come Montecarlo
nel nuovo libro di Claudio Calzana – Video

Claudio Calzana ha appena dato alle stampe il suo ultimo romanzo «La cantante» (Bolis Edizioni), che completa la trilogia iniziata con «Esperia»(Opera Grafica Electa) del 2012 e proseguita con «Lux» (Giunti) nel 2015.

Non sorprende l’abilità dell’autore nelle operazioni di marketing per il suo libro visto che, dopo aver iniziato come insegnante nelle scuole superiori, Calzana è approdato alla Sesaab, dove ricopre attualmente il ruolo di Direttore Progetti editoriali e culturali. Già l’idea di far scegliere la copertina del suo libro ai «followers» in rete è stata decisamente una bella pensata.

Ma non storcano il naso gli amanti della grande letteratura, né pensino di aver vita facile i lettori della letteratura di consumo, perché al di là delle operazioni di marketing «La cantante» è un libro decisamente colto e decisamente comico. Due qualità che non è affatto facile combinare e che in questo caso creano quella cosa magica che ogni scrittore agogna: lo stile. Dopo averlo prima accostato ad Andrea Vitali - cosa del tutto naturale visto che fu lo scrittore lariano a tenere a battesimo il primo romanzo «Il sorriso del conte» (Oge, 2008) – la critica ha fatto successivamente il nome di Camilleri. Perché Calzana usa con grande efficacia l’oralità della parlata bergamasca, senza però rinunciare a diversi registri, compreso quello colto, gestito a sua volta senza autocompiacimento. Il risultato è un racconto dal ritmo spiazzante, perché sono le parole, con la loro espressività sonora, a condurre la narrazione, a rendere con brevi, fulminanti sequenze, tutta una scena, tutto un sentimento e, non raramente, a suscitare, con un sobbalzo linguistico, un’autentica risata.

«In “Esperia” il momento fondamentale è l’arrivo di Buffalo Bill in città, in “Lux” è il cinema e in quest’ultimo la prima edizione del “Circuito delle Mura” del 1935 con Tazio Nuvolari. Ho scelto questi tre avvenimenti perché erano quelli che mi raccontava la mia nonna paterna. Abitava al Carmine, da lì ha potuto avere una visione privilegiata del primo Gran Premio, sentiva i freni stridere perché proprio lì sotto, alla curva del Pantano, le auto dovevano frenare».

Su questi ricordi si è innescata la ricerca storica. Però non si tratta di romanzi storici tradizionali. Il narratore interpella il lettore di oggi, lo chiama in causa direttamente.

«È così, il narratore è un personaggio a tutti gli effetti. C’è la solita combriccola strampalata dei quattro amici, i fratelli Carlo e Dante Milesi, il fotografo Romeo Scotti e il biciclista Spiridione Curnis. Sono uomini maturi adesso, nel primo libro erano adolescenti, e io, come narratore, ho deciso di non nascondermi. Guardo al passato solo per riferirmi all’oggi. Mi interessa raccontare nel passato quello che per i protagonisti era il futuro. Nel 1935 l’auto, il bolide, era il futuro».

Il narratore è decisivo anche per la resa del comico.

«Quando ho cominciato a scrivere ho provato a scrivere “seriamente”, pensando ai miei studi di filosofia, alle mie letture, ma non ci riuscivo. Ho dovuto togliermi il carapace, a quel punto è uscita la mia voce. Ho scoperto che il mio modo di scrivere era orale, volevo scrivere come parlavo».

Da un ricordo personale alla propria voce, per raccontare una storia d’amicizia. «Senza l’emozione del ricordo di mia nonna non avrei cominciato a scrivere, è l’emozione che crea l’esperienza, che apre un varco nel vivere. È quello che vale la pena raccontare. E lo stesso vale per l’amicizia. Credo sia un destino, una strada che si apre. Ho amici conosciuti a scuola che vedo tutt’ora. L’amicizia per i miei quattro sgangherati amici vuol dire che anche quando uno di loro ne combina una grossa, gli altri sono lì, a sostenerlo».

Come ha fatto a creare questa stratificazione linguistica? «Quando insegnavo lo facevo ascoltando, cercando di cogliere con gli occhi e con gli orecchi. Faccio la stesso scrivendo, ascolto al modo del flâneur, come Walter Benjamin, come i grandi autori milanesi, a partire dagli Scapigliati, che ancora vengono letti troppo poco. Credo che il valore della letteratura italiana sia nel regionalismo, così come ne ha parlato Dionisotti».

«La cantante» è una storia di amicizia maschile, ma a dominare, a partire dal titolo, sono le donne. «Qualcuno dice invece che i miei libri sono misogini. Ma senza le donne, senza le diverse tipologie di donne come la Nèta o la Colombera, senza Mara, che è poi mia madre, la prima donna a diplomarsi in chimica all’Esperia questi libri non sarebbero nati».

Ora dice di trovarsi in una condizione di «vuoto», ma l’immaginazione di Calzana vola già veloce alla ricerca dell’emozione e dell’esperienza giusta per continuare a raccontare la storia («ma sa quante storie di personaggi stravaganti abbiamo qui a Bergamo?») della sua personalissima comédie humaine orobica-lombarda.

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