La magia degli U2 a Roma - Video
Bono, la pizza e il fan bergamasco

Grande successo per il «The Joshua Tree Tour 2017» sabato 15 e domenica 16 luglio a Roma.

Due concerti a loro modo storici, 30 anni dopo quel «The Joshua Tree» che consacrò gli U2 al mondo intero. La band irlandese celebra quell’incredibile album con un tour che sabato e domenica farà tappa all’Olimpico di Roma. Saranno migliaia i fans pronti a gustare lo show di Bono e soci. Come Daniele, collaboratore de L’Eco di Bergamo, e pronto a partire per la Capitale con la sua colonna sonora in testa che lo fa viaggiare tra la passione e i ricordi. Come quella volta a Torino, 7 anni fa, quando Bono gli regalò una pizza d’asporto...

Domenica arriverò a Roma in tre ore, a bordo di un treno ad alta velocità rosso come il colore del grande schermo led che, su sulle note della mitica «Where the Streets Have No Name», farà sognare i fan italiani degli U2 arrivati allo Stadio Olimpico per assistere al doppio appuntamento di sabato e domenica, uniche due date italiane del «The Joshua Tree Tour» 2017, celebrativo dell’omonimo album della band irlandese a 30 anni dall’uscita. Rosso come la V disegnata sulle magliette del Vertigo Tour del 2005, il primo concerto di Bono e soci della mia vita, rosso come la scritta sul cartone della pizza che Bono in persona mi consegnò, primo tra altri fan, in una sera d’estate del 2010 a Torino.

Per i fan degli U2 quello che si apre sarà un week-end da sogno, atteso da mesi. La band torna in Italia dopo due anni, e lascia le location più recenti di Milano e Torino per fare tappa a Roma, di fronte alle decine di migliaia di appassionati che sono riusciti ad accaparrarsi i (sempre meno economici) biglietti del concerto. Lo fa per celebrare uno degli album più amati, quel «The Joshua Tree» del 1987 che segnò la maturità artistica della band e certificò definitivamente il successo mondiale dei quattro.

Cosa si dovranno aspettare i fan assiepati all’Olimpico è presto detto, visto che in rete circolano già scalette ufficiose, consolidate dalle numerose tappe che hanno già toccato l’America del Nord (da maggio) e l’Europa (da sabato scorso): gli High Flying Birds di Noel Gallagher a fare da spalla, e poi l’inizio dello spettacolo affidato al rullante di Larry Mullen Jr che intonerà «Sunday Bloody Sunday».

Giusto qualche brano per rievocare il periodo immediatamente precedente all’album e poi tutto diventerà rosso, come nei tour di fine anni ‘80: da una Fender Stratocaster il riff più famoso di The Edge, condito con il delay che è la firma del sound unico del chitarrista dublinese darà il via a «Where The Streets Have No Name», simbolo, icona, manifesto di Bono Vox e soci. E poi all’intero «The Joshua Tree», per la prima volta eseguito dall’inizio alla fine, nell’ordine esatto delle sue 11 canzoni fino a «Mothers Of The Disappeared».

Sospese (si spera solo temporaneamente) le pazzesche strutture del 360° Tour del 2009-2010 e le intime scenografie dell’«Innocence + Experience» tour del 2015, i quattro tornano a suonare di fronte ai fan (con palco disposto su lato corto in curva sud), davanti ad un mega-schermo in mezzo al quale si trova l’albero del deserto del Nevada stampato sulla copertina dell’album, albero che dà forma anche al palco che da quello principale si allunga tra la folla. Dopo «The Joshua Tree» ci si aspetta che gli anni più recenti chiudano la serata, da «Beautiful Day» a «Vertigo» fino a «One», passando da «The Little Things That Give You Away», brano inedito suonato nelle scorse date.

C’è chi si ferma proprio ai suoni del rock puro di «The Joshua Tree», e al successivo tour di «Rattle and Hum», nell’apprezzare gli U2, c’è chi li ama tutti: io sono tra questi e, pur non appartenendo alla generazione che li ha visti nascere, questo sarà per me il quarto concerto degli U2 (il primo fu appunto il magico «Vertigo Tour» a San Siro nel 2005), tutti vissuti con lo zio Gilberto che la passione per gli irlandesi me l’ha trasmessa. Quello che ci aspetta sabato e domenica sarà un piatto gustoso, prezioso e rustico allo stesso tempo, come…come una buona pizza mangiata con gli amici in un locale. Ecco, mi serviva il modo per collegarmi alla pizza. Mentre attendo il concerto di Roma non può che tornarmi in mente l’indimenticabile serata dell’agosto 2010 passata insieme all’amico Lorenzo davanti allo stadio Olimpico di Torino, quando Bono arrivò a un metro e mezzo da me e mi regalò una pizza margherita.

Proprio perché al «360° Tour» c’ero già andato nel 2009, a Milano, quando l’anno successivo riproposero lo stesso concerto a Torino evitai (sempre per tornare al discorso dei biglietti dai prezzi davvero alti): sapevo però che una settimana prima (da Torino partiva proprio la seconda leg del tour) Bono e soci avrebbero tenuto le prove all’interno dello Stadio Olimpico, e sembrava che tutte le sere sarebbero usciti a salutare i fan. Io e Lorenzo partimmo in auto e raggiungemmo lo stadio, fuori dal quale ci appostammo addirittura alle 3 del pomeriggio. Li conoscemmo Antonio, siciliano che da allora sento ad ogni tour per capire quali biglietti è riuscito ad accaparrarsi. Complice qualche fuga di notizie falsa sembrava che i quattro avrebbero salutato i fan addirittura all’ingresso, prima di cominciare le prove: così, fortunatamente, non fu, ma ormai eravamo in prima fila mentre in serata il gruppo dei fan in attesa cresceva alle nostre spalle. Così abbiamo resistito fino all’una e mezza di notte, e da fuori abbiamo sentito benissimo le prove della band.

Finalmente si aprirono i cancelli ed uscirono tutti e quattro, con la piccola folla che esplose in un’ovazione: avevano preparato un siparietto simpatico, facendo arrivare 80 pizze da distribuire ai fan per ripagarli della fatica dell’attesa.

Tutto il resto andò come nei sogni più rosei. Bono aprì il baule del primo furgoncino del pony pizza, prese un pacco di cartoni e si diresse dritto verso di me: si fermò ad un metro e mezzo di distanza, afferrò la prima pizza e me la consegnò. Il resto non lo ricordo bene, perché subito mi assaltarono altre dieci persone per accaparrarsi il prezioso cimelio che difesi strenuamente accovacciato davanti alla transenna.

Davanti a noi passò anche The Edge, e in venti minuti tutto finì. Non dimenticherò mai quella notte. Ci volle del tempo per riprendersi e ricordarsi dove avevamo lasciato l’auto, poi (ormai era mattina!) io e Lorenzo tornammo a Bergamo, estasiati. Dividemmo la pizza in due ma il cartone, ovviamente ripulito in modo adeguato, campeggia ancora sopra l’armadio di camera mia, con quella scritta rossa in bella vista.

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