L’amore, l’India, la meraviglia
Viaggio nel Taj Mahal - Foto

Comincia un viaggio in 8 puntate in terre lontane, attraverso le storie di personaggi che ne sono stati protagonisti. L’autore è Riccardo Fogaroli, da 10 anni fotoreporter di viaggi.

«Una lacrima di marmo, ferma sulla guancia del tempo». Con queste parole, il poeta indiano Rabindranath Tagore evocava quello che oggi è considerato una delle meraviglie del mondo: il Taj Mahal, il Palazzo della Corona. Siamo ad Agra, città indiana da 1,5 milioni di abitanti, a Sud di Nuova Delhi. Un tempo capitale dell’Impero Mogul, oggi caotica metropoli che nasce e cresce attorno a questo monumento. Quasi soffocandolo. Indubbiamente il Taj Mahal, patrimonio Unesco, è uno degli edifici più famosi non solo dell’India, ma dell’intero pianeta, tanto da essere visitato ogni anno da 10 milioni di persone. Ma questi numeri non rendono l’emozione che il Taj Mahal regala: è una poesia che si staglia nel cielo. Il poeta americano Bayard Taylor bene descrisse questa idea: «Avete mai visto un castello in aria? Qui ce n’è uno, portato giù sulla terra e fissato per la meraviglia dei tempi».

Si vive questa emozione in un momento preciso della giornata: prima dell’alba. A quell’ora il Taj Mahal sembra una visione lontana, avvolta in una sottile nebbia. Quasi irreale perché solo, senza la moltitudine di turisti che lo assediano costantemente. Con l’arrivo del giorno, man mano che i raggi di sole lo colpiscono, il Taj Mahal sembra emanare una forza propria. Le migliaia di pietre preziose si infiammano nel riflesso del Sole. Sembrano muoversi, in maniera quasi ipnotica. È la vita, la luce, che prende il sopravvento su questo edificio che è, in realtà, una delle più grandi tombe mai costruite dall’uomo. In questo caso, da un uomo innamorato.

Il Taj Mahal è un palazzo che racchiude tante storie, tutte avvincenti. La storia di un amore. Quella di una morte. Ma soprattutto quella di una promessa, divenuta poi una ossessione. L’amore è quello tra l’imperatore moghul Shah Jahan e la sua moglie preferita, Arjumand Banu Begum. Lui, musulmano, era considerato l’uomo più ricco del mondo, per via delle miniere di pietre preziose e del controllo dei traffici di merci su mezza Asia. Lei la madre dei suoi 13 figli, sposata quando erano poco più che adolescenti. Nonostante il loro fosse un matrimonio combinato, l’amore aveva vinto sulla ragione di Stato. Erano talmente innamorati da non dormire mai separati da più di una stanza. E la moglie era persino diventata sua fedele consigliera negli affari di governo.

La morte: quella della bella principessa che, alla nascita del 14° figlio, non superò il parto e lasciò quindi l’imperatore nel più totale sconforto. Fu un vera tragedia, al punto che i capelli e la barba dell’imperatore, divennero, nel giro di pochi mesi, completamente bianchi per il dolore. Per otto giorni non mangiò. Per due anni niente musica, gioielli e profumi. Impensabile per una corte che era famosa in tutta Europa per gli eccessi di oppio e alcol.

La promessa, invece, la giovane moglie la chiese al marito prima di morire: quella di non essere mai dimenticata, e che per lei venisse costruito un monumento funebre degno del loro amore. Siamo nel 1632, quando a Roma trionfava il barocco e Milano veniva decimata dalla peste descritta dal Manzoni. Da questa promessa nasce una vera e propria ossessione per l’imperatore, che regalò al mondo uno dei più begli esempi di quel Rinascimento indiano che rese il suo regno unico, da un punto di vista culturale. Ricordare per sempre la propria amata divenne lo scopo della sua vita. Quasi una ossessione. Ventimila operai che intagliavano pietre. Interi villaggi costruiti per ospitare i cantieri. Mille elefanti e bufali che portavano i marmi perfettamente bianchi di Makrana, distante più di 400 chilometri. Pietre preziose e semi-preziose da ogni parte dell’impero: marmo giallo, turchese, onice, agape e «occhio di tigre»: se ne contano 28 tipi diversi. L’arte e l’architettura islamiche nelle loro forme più poetiche e raffinate.

Poiché l’Islam proibisce la rappresentazione di figure antropomorfe, di uomini e donne, negli edifici di natura sacra, il mausoleo venne abbellito con rappresentazioni floreali, motivi astratti e passi del Corano. Un paradiso in terra per indicare il paradiso celeste. E non a caso si disse che «l’Imperatore aveva messo fiori di pietra nel marmo che per i loro colori, se non per il loro profumo, sorpassano i fiori veri». Ma è una anche vera e propria opera di ingegneria: il corso del fiume Yamuna venne deviato, vennero adottate soluzioni uniche per l’epoca. Persino antisismiche: basta ricordare che i 4 minareti che attorniano l’edificio centrale tendono verso l’esterno, sia per dare slancio all’edificio, sia per crollare lontano da esso, in caso di terremoto, senza danneggiarlo.

L’amore doveva vincere tutto. Doveva essere eterno. Nel 1643 l’opera viene completata. Da allora, il corpo della regina Arjumand Banu Begum riposa sotto una possente cupola alta 35 metri.

Per l’Imperatore, la costruzione del Taj Mahal divenne la sua unica ragione di vita, tanto da arrivare a trascurare il governo e a impensierire i membri della famiglia reale per le spese folli sostenute per la sua costruzione. C’erano tutti gli ingredienti per un colpo di Stato, che puntualmente avvenne nel 1653, dopo una lotta cruenta tra i figli del Mogul per il potere. Vinse il figlio Aurangzeb, che imprigionò il padre nel Forte Rosso di Agra in cui, fino alla sua morte nel 1666, restò prigioniero. Ma da qui l’imperatore Mogul poteva ammirare tutti i giorni la bellezza, la grazia e la proporzione del Taj Mahal. E soprattutto ammirare il monumento all’amore eterno.

Oggi il Taj Mahal è vittima degli eccessi che hanno reso l’India un paese da record: inquinamento e eccessivo popolamento. Guardandolo dal terrazzo sommitale del The Gateway Hotel, magari al tramonto mentre si assapora una delle lunghe e speziate cene indiane, l’edificio più alto di Agra sembra piccolo, prigioniero del caos indiano. Ed è magnifico vederlo sparire inghiottito dalla notte. Prima che la luce dell’alba torni a renderlo vivo, e magico come pochi altri luoghi al mondo.

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