Musica del Bepi alla diga del Gleno
Ecco in diretta il concerto - Live

Musica del Bepi e monologo di Emanuele Turelli domenica 27 agosto alla diga del Gleno. Oggi al Rifugio Baroni (2.297 metri) notte rock.

A cent’anni dall’inizio dei lavori per la realizzazione della diga del Gleno torna, proprio nei pressi dei ruderi dello sbarramento crollati il 1° dicembre 1923 travolgendo interi centri abitati e mietendo più di 500 vittime tra Valle di Scalve e Val Camonica, «Gleno, 1 dicembre 1923», il monologo di Emanuele Turelli che racconta la tragedia, messo in scena con la collaborazione di Tiziano Incani, il Bepi. Lo spettacolo nasce dal lavoro parallelo dei due artisti: un’inchiesta realizzata da Turelli sulle ragioni di quello che in Valle di Scalve viene chiamato semplicemente «Disastro» e la quasi contemporanea scrittura della canzone «Gleno» da parte del cantautore bergamasco.

Non è la prima volta che il monologo viene messo in scena: nel 2011, sempre nella Piana della valle del Gleno, Turelli e Incani avevano presentato il loro lavoro congiunto, riscuotendo un buon successo. La narrazione, che durerà un’ora e mezza circa,fino le 12. «La parte recitativa e quella musicale – spiega Incani – rimangono distinte, e questo permette a ognuno di noi di portare il proprio personale contributo. A parte “Gleno”, la canzone che avevo creato pensando alla tragedia, non ci sono brani appositamente pensati per l’occasione, ma la formula dello spettacolo mi permette di inserirmi nella recitazione anche con brevissimi spezzoni sia di brani miei che di altri ma che aiutino a calarsi nella storia e a riflettere». Lo spunto iniziale è un aneddoto personale raccontato da Turelli, ma il racconto si sviluppa analizzando le criticità che vengono indicate come responsabili della tragedia: il progetto cambiato nel corso della realizzazione, lo scarso controllo del cantiere e i materiali scadenti utilizzati nella costruzione. Due i punti di vista che guideranno nella ricostruzione, prima gli occhi di Virgilio Viganò, che aveva voluto la costruzione della diga, e poi quelli di Francesco Morzenti, il «Petasalti», custode della diga e unico testimone di quanto accadde in quota nel 1923. Chiude il monologo un parallelismo con il disastro del Vajont. «Perché dobbiamo ricordarci sempre – dice Emanuele Turelli – che il profitto deve sottostare alla coscienza. Abbiamo voluto quest’appuntamento per fare memoria di questa tragedia, indipendentemente dalle cause che l’hanno provocata, perché ravvisiamo la necessità di continuare a fare memoria».

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