Pennac: «Contro la paura degli stranieri
sogno un Erasmus per tutti i giovani»

Il famoso scrittore francese lunedì 11 settembre nella Basilica di Santa Maria Maggiore per la rassegna «Molte fedi»: posti esauriti. «Sogno un Erasmus generalizzato per tutti, che dovrebbe cominciare non dall’università ma dalla prima infanzia»

«L’altruismo è ciò che rende possibile la vita sociale. Senza non si può stare: se si estinguesse saremmo comunque costretti a reinventarlo». Lo scrittore francese Daniel Pennac è in tour attraverso l’Italia: da Certaldo, dove ha ritirato il premio Boccaccio per la letteratura internazionale, al Festival letteratura di Mantova, dove l’abbiamo incontrato, dietro le quinte del Teatro Sociale, durante le prove del suo spettacolo. Lunedì 11 settembre arriva a Bergamo, nell’ambito della rassegna delle Acli «Molte fedi sotto lo stesso cielo», alle 20,45 nella Basilica di Santa Maria Maggiore: posti esauriti da tempo, una lista d’attesa lunghissima. Il titolo della conversazione «Loro siamo noi», è quello di un brevissimo testo sul tema dei rifugiati che Pennac ha donato all’associazione La Cimade, scritto, ci spiega, «per cercare di superare gli stereotipi e i giudizi facili che nascono dall’istinto».

La saga di Malaussène è ambientata in un quartiere multietnico di Parigi, dove persone di culture, tradizioni, razze e nazionalità diverse convivono in modo pacifico. Accade anche nella vita reale, perfino in tempi aspri come questi?

«Da molti anni - dal 1969 - vivo a Belleville, un quartiere di Parigi dalla forte presenza multiculturale, e in tutto questo tempo non ho mai visto accadere niente di drammatico tra le diverse comunità, perché da sempre sono mischiate tra di loro. Questo purtroppo non avviene in tutte le periferie, eppure ritengo sia l’ingrediente più importante e la prima soluzione per una convivenza pacifica: fare in modo che ci siano incontro, dialogo, mescolanza di competenze e di mestieri, perché tutti abbiano bisogno di tutti, mischiare i bambini nelle classi. Creare connessioni è sempre la soluzione, perché permette di dare vita a una cultura comune, mista. Anche a livello europeo, a mio parere in questo momento avremmo un gran bisogno di mischiarci. Ci dovrebbe essere in Europa una politica culturale che faccia circolare i bambini di tutte le età. Sarebbe bello che a scuola per esempio tutti i bambini di dieci anni di un Paese andassero a trascorrere uno o due mesi in un altro Paese, in una catena virtuosa di gemellaggi».

Perché a suo parere «mischiare» è così importante?

«In Francia ci sono adolescenti immigrati che non si sentono francesi anche se sono cresciuti là e parlano la nostra lingua, e questo accade perché vivono isolati nelle banlieue della periferia, chiusi nelle loro comunità di provenienza, e si sentono quindi emarginati. Se prendessimo gli stessi ragazzi e li mandassimo a fare uno stage di un mese in Germania con altri adolescenti alla fine si sentirebbero anch’essi francesi. Non è così difficile: è una questione di rispetto e di dignità e di non avere paura dell’altro».

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