Homefront: The Revolution
Gli Usa contro la Corea

Homefront: The Revolution offre un universo fantapolitico potenzialmente valido, corroborato da un’ottima grafica e un sistema di gioco strutturato, anche se un po’ noioso e ripetitivo. Il continuo passamano nello sviluppo ha però influito sul design del gioco, a tratti confusionario e senza una propria identità.

Piattaforma: PC, PlayStation 4 e Xbox One

Genere: Sparatutto in prima persona

Sviluppatore: Dambuster Studios

Produttore: Deep Silver

Distributore: Koch Media

PEGI: 18

Nel bene e nel male, Homefront è stato uno degli sparatutto in prima persona più originali della precedente generazione, capace di proporre un setting storico e fantapolitico interessante e credibile anche grazie alla collaborazione del regista del film Alba Rossa, John Milius. Il nuovo capitolo Homefront: The Revolution non è un vero e proprio sequel, ma una sorta di reboot che propone una campagna singolo giocatore corposa e strutturata, e un multiplayer che abbandona la competizione per abbracciare una modalità cooperativa a quattro giocatori. In seguito alla chiusura del team di sviluppo originario Kaos Studios nel 2011, il timone di questo nuovo capitolo è passato in diverse mani fino ad arrivare, nel 2014, a Dambuster Studios. Un continuo passamano che ha influito negativamente sul design del gioco, a tratti confusionario e senza una propria identità. Andiamo a scoprire il perché.

Anche se, come già detto, siamo di fronte ad una specie di reboot del franchise, Homefront: The Revolution, come il suo predecessore, è ancora una volta Stati Uniti d’America contro Corea. A cambiare, però, sono le premesse che hanno portato quello che tutti conosciamo come uno dei paesi trainanti dell’economia e della cultura mondiale ad inginocchiarsi di fronte alla piccola Corea. Nell’ucronia dipinta dai ragazzi di Dambuster Studios la grande rivoluzione tecnologica e digitale degli anni ’70 non avviene nella celebre Silicon Valley di Bill Gates e Steve Jobs, ma nella piccola penisola dell’Asia orientale che, di conseguenza, diventa la nazione più potente del mondo.

Contemporaneamente, invece, gli Stati Uniti se la passano piuttosto male, indebitandosi in seguito ad onerose campagne militari che la porteranno, nel 2025, al fallimento nazionale. A questo punto la Corea, che negli anni ha foraggiato lo zio Sam – con il benestare delle altre nazioni – invade il paese nordamericano per offrire aiuti umanitari, ma in realtà ne prende il controllo totale. Una parte della popolazione, ovviamente, insorge, dando vita ad un movimento di rivolta: la Resistenza. Il gioco è ambientato nel 2029, nel pieno dell’occupazione coreana in Usa, e si vestono i panni di Ethan Brady, nuovo membro della Resistenza. L’universo fantapolitico e distopico tratteggiato dagli sceneggiatori di Homefront: The Revolution è visivamente ed emotivamente forte e credibile, ma trama e personaggi che fanno da sfondo restano in superficie e si faranno ben presto dimenticare.

A differenza del primo capitolo, Homefront: The Revolution, ambientato a Philadephia, presenta una struttura open world imperniata sulla rivoluzione. Oltre ad una serie di missioni principali, è presente una buona quantità di azioni collaterali atte a mettere i bastoni fra le ruoti all’invasore coreano e instillare il germe della rivoluzione nella popolazione: sabotare dispositivi elettronici, distruggere veicoli blindati, liberare gli abitanti schiavizzati, attivare radio per diffondere la propaganda, liberare punti strategici come scuole, depositi, ristoranti e altri edifici per renderle basi della Resistenza. Una volta raggiunto un certo livello di azioni ribelli – denominato “Cuori e menti”, all’interno di un determinato quartiere della città, la popolazione insorgerà a favore della Resistenza mettendo a soqquadro l’intera zona e riducendo dunque la presenza militare coreana, rendendo di conseguenza più facile muoversi all’interno dell’area liberata. Sono presenti anche una serie di missioni secondarie più tradizionali, ma quasi tutte anonime e troppo simili fra loro per essere prese davvero in considerazione.

Tutte queste possibilità porteranno inoltre nelle tasche del giocatore denaro e punti tecnologia utili ad acquistare nuove armi ed equipaggiamenti, o installarne i relativi potenziamenti. Non un arsenale ricchissimo e vario come altri fps open world ci hanno fatto vedere, ma è stato fatto un notevole passo in avanti rispetto al passato ed è presente un sistema di personalizzazione in tempo reale dell’arma simile a quello visto in Crysis.

Per chi ha giocato al primo Homefront, i primi minuti di questo reboot si riveleranno decisamente disorientanti, soprattutto a causa di un alto livello di sfida e dinamiche survival inaspettatamente impegnative. Una volta cominciato a capire che ci si deve muovere in maniera attenta e circospetta, soprattutto nelle zone rosse dove le guardie sono in allerta e sparano a tutto ciò che si muove, il gioco comincia a dare il meglio di sé offrendo anche alcuni buoni spunti. Il gameplay propone fasi di shooting più becere affiancate a missioni in cui è necessario approcciarsi in maniera più silenziosa e stealth, con la possibilità di aggirare videocamere di sorveglianza o eliminare i soldati nemici di soppiatto. A fianco della campagna singolo giocatore è presente un comparto multiplayer cooperativo senza infamia e senza lode, nel quale, insieme ad altri tre giocatori, è possibile prendere parte a missioni di conquista o di difesa di un quartiere.

Un universo fantapolitico potenzialmente molto valido quello tratteggiato dagli sviluppatori, corroborato da un’ottima grafica (sostenuta dal sempre ottimo motore CryEngine), una città sofferente ben disegnata e credibile, e un sistema di gioco solido anche se un po’ noioso e ripetitivo. Sembrerebbe esserci tutto per avere tra le mani un ottimo prodotto, ma a mancare è la personalità, l’anima, un’identità ben precisa e capace di lasciare un’impronta. La lotta per la rivoluzione di Homefront: The Revolution corre purtroppo su binari prevedibili, già visti, spesso ludicamente confusionari e poco chiari, con scenari graficamente irreprensibili ma artisticamente anonimi e dimenticabili. Homefront: The Revolution è un buon gioco, ma è figlio di uno sviluppo frammentato e confuso, dove in troppi ci hanno messo mano.

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