Adottato 3 anni fa in Congo, l’iter è fermo
Da Dalmine il dolore di due genitori

Sono andati a Roma con altri genitori adottivi per incotrare il ministro Boschi. Questa storia parte da Dalmine, da una coppia che aspetta il suo bambino, adottato tre anni fa in Congo.

Da 18 mesi non hanno più nessuna notizia del loro bambino che hanno adottato tre anni fa,
nel 2013, quando aveva 6 anni. Un dolore incredibile incastrato nella burocrazia italiana quello che sta vivendo una coppia di Dalmine: loro sono una di quelle famiglie che da anni chiedono di sbloccare l’iter burocratico che in Congo impedisce a 59 bambini di abbracciare i genitori in Italia.

I coniugi bergamaschi si sono recati a Roma per incontrare il ministro Maria Elena Boschi, che da due settimane ha ricevuto la delega per le adozioni. Con loro, numerosi nuclei familiari, provenienti da tutta Italia, che invocano una soluzione al problema, bloccato per una serie di motivi tecnici, tra i quali le lungaggini nel rilasciare il visto in uscita da Kinshasha che hanno impedito alle famiglie di portare i bambini in Italia.

«Noi – spiegano i coniugi bergamaschi – non abbiamo fatto parte della delegazione che ha incontrato il ministro nel suo ufficio. Ci ha comunque rassicurato che, rispetto al passato, ci sarà un deciso cambio di passo. Non ha, però, parlato di tempi. Non ce la facciamo più. Nonostante siamo i genitori, non possiamo neppure andare a prendere i bambini in Congo».

Uno dei problemi maggiori è rappresentato dal fatto che la coppia ha adottato il figlio nella zona di Goma, città martoriata dalla povertà e dalla guerra, dove alcuni bambini sono bloccati in un istituto. «Da 18 mesi non abbiamo più nessuna notizia del nostro bambino – rivelano i coniugi –. Quando lo abbiamo adottato aveva sei anni, ora ne ha nove. Al ministro Boschi chiediamo un intervento risolutivo. Nel 2014 è andata in Congo e ha portato in Italia 130 bambini. Se può servire faccia la stessa cosa adesso. O consenta a noi di farlo. Perché la nostra pazienza è finita, non ce la facciamo più ad aspettare. Questa attesa amplifica il nostro dolore ed il senso di solitudine e di impotenza. I nostri bambini sono forse diventati un problema meno importante di altri?».

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