Nell’età del sanismo
di moda i vecchi vizi

Una scrivania disordinata? Stimola la creatività. Gli scarabocchi? Aiutano a concentrarsi. La tendenza a usare un linguaggio un po’ colorito può nascondere, invece, una strategia per sopportare meglio il dolore.

Richard Stephens crea una controtendenza con «Cattivi è meglio. I vantaggi nascosti di essere pecora nera» (Piemme): siamo bombardati di informazioni che valorizzano abitudini sane (evitare grassi, alcol e sigarette, fare movimento e dormire bene), lo psicologo americano decide invece di ridare spazio e utilità alle consuetudini che normalmente subiscono una condanna sociale. Cattive abitudini, ma con misura ovviamente.

Qualunque mania - seppure fastidiosa - risulta più accettabile, fra l’altro, scoprendo che perfino i grandi scrittori, registi, pittori e poeti ne avevano parecchie. Lo racconta in modo brillante Mason Currey nel saggio «Rituali quotidiani» di Mason Currey (Vallardi). Francis Bacon soffriva d’insonnia e per rilassarsi leggeva all’infinito ricettari classici. Patricia Highsmith, autrice di thriller, era una persona solitaria e scriveva sempre di pomeriggio seduta sul suo letto, circondata da cibo e sigarette. Ingmar Bergman mangiava a colazione sempre la stessa cosa. Fellini si alzava prestissimo e alle sette faceva sempre la sua prima telefonata: per amici e collaboratori era un «servizio sveglia».

Nel caso in cui comunque Stephens e Currey non riuscissero a convincervi, la scelta migliore è leggersi «Cambiare è facile. Come liberarsi dalle cattive abitudini e vivere felici» (Sonzogno) di Gretchen Rubin. 
Sa. Pe.

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