Quei simpatici monelli
«I terribili tre» di Mac Barnett

C’è un filone molto frizzante che ha attraversato nei giorni scorsi la Fiera internazionale del libro per ragazzi a Bologna e continua a spopolare anche nel Weekend dei giovani lettori in corso fino a domenica: è quello dei «monelli».

Ce ne sono tanti: da Gian Burrasca di Vamba al Piccolo Nicolas di Goscinny e Sempé, fra l’altro finalista allo Strega Ragazzi, fino a Miles e Niles, «I terribili due» di Jory John e Mac Barnett, che nel nuovo romanzo diventano «I terribili tre» (Mondadori). Mac Barnett, brillante autore trentenne americano in questi giorni a Bologna ha raccontato ai giovani lettori i segreti per mettere a segno uno scherzo ben fatto. Abbiamo cercato di carpirgli qualche segreto.

Come sono nati «I terribili due» e «I terribili tre»?
«Tutto è nato dalla mia amicizia con Jory John, coautore del libro, che dura da oltre dieci anni. Anche lui è uno scrittore. C’è stato un periodo in cui veniva almeno una volta alla settimana a casa mia e chiacchieravamo di cose che ci piacevano, dei nostri libri preferiti. Entrambi abbiamo sempre avuto una passione per i libri che parlavano di scherzi, come per esempio quelli di Roald Dahl, e in particolare Matilda. Devo dire che io amo molto gli scherzi e c’è qualcosa di autobiografico nel personaggio di Miles. Pian piano da cosa nasce cosa e ci siamo ritrovati a collaborare alla stesura di questo libro».
Qual è lo scherzo che i suoi lettori apprezzano di più?
Lo scherzo più apprezzato, quello su cui mi fanno più domande è quello che racconto alla fine del primo libro e parla di una scuola che viene invasa da una mandria di mucche. È ispirato a un fatto veramente accaduto nella mia scuola superiore: una mucca fu portata fino al secondo piano e non sono stato io. Almeno questo è ciò che ho sempre detto.

Lo scherzo che le viene meglio?
«Ogni tanto ne facciamo uno quando andiamo in visita in una scuola. Il preside si presenta agli studenti e dice: “Ho letto questo libro e racconta proprio di come fare scherzi ai presidi, lo trovo del tutto inappropriato perciò non se ne parla proprio, non intendo accogliere gli autori a scuola. Al loro posto quindi ho invitato due medici che vi parleranno dei principi di un’alimentazione sana per i bambini.” A quel punto noi entriamo in scena con camici bianchi e baffi finti e incominciamo a parlare molto seriamente di alimentazione. Lo spettacolo più bello sono le facce dei bambini che ci guardano esterrefatti e disperati. Poi riveliamo la nostra identità, e allora la tensione si spezza e tutti si mettono a ridere».
Non ha paura che i ragazzi imitino gli scherzi che raccontate?
«A dire la verità io mi auguro davvero che i ragazzi ci imitino, perché ritengo che uno scherzo ben fatto sia quasi un segno di affetto, come un abbraccio. Dice “Ehi, io ci tengo a te”. Può essere come un guanto di sfida che si lancia a una figura che ha potere e autorità ma ne abusa: i bambini sono impotenti ma con uno scherzo possono metterla in discussione, ovviamente senza esagerare. Uno scherzo non deve mai né danneggiare né distruggere né ferire nessuno. Nasce sempre dalla gioia, anche se la vittima non sempre ne è contenta».
Quando incontrate i vostri lettori vi raccontano gli scherzi che fanno?
«I ragazzi sono molto creativi, ci stupiscono sempre e amano davvero raccontarci gli scherzi che fanno. Noi li apprezziamo molto e ne traiamo ispirazione. Tra l’altro nel nostro sito web c’è proprio una parte dedicata ai lettori e ai loro racconti, una sorta di Wall of Fame. Noi li annotiamo tutti e poi li usiamo nei nostri libri, augurandoci che questi ragazzi non abbiano dei buoni avvocati».
Raccontare la scuola in questo modo la rende un po’ più simpatica…
«La scuola non è solo un posto dove impari a leggere e scrivere ma ad essere persone, a rispettare le regole. Ma ci sono anche cose che è giusto mettere in discussione. Se ci si mette nei guai la scuola è un ambiente protetto in cui si può imparare che le trasgressioni portano conseguenze. Si impara a rispettare l’autorità ma anche a seminare il dubbio, ad andare, senza esagerare, un po’ fuori dalle righe. Non dobbiamo essere tutti come Miles e Niles, i protagonisti dei miei libri, ma anche questo tipo di atteggiamento può essere importante».
Quanto è importante per uno scrittore saper far ridere i suoi lettori?
«Moltissimo. Quando ero un ragazzino leggevo libri perché mi divertivo, non perché ero obbligato a farlo. Perciò ora cerco di scrivere libri che siano belli e appassionanti per i miei lettori. Altrimenti la lettura diventa come prendere le medicine o mangiare i broccoli. Anche noi adulti leggiamo perché ci piace, per i piccoli vale lo stesso principio».

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