Un ritorno impossibile
alla famiglia di origine

«L’Arminuta», titolo dell’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi, pp. 163, euro 17,50), significa «la ritornata», in abruzzese. La protagonista, tredici anni, ha dovuto «ritornare» nella sua famiglia d’origine, dopo essere stata data ad un’altra famiglia, assai «megliostante».

Poi, la mamma (la nuova) si è ammalata gravemente, il papà (ora doveva imparare a chiamarlo zio) non ce la faceva più a tenerla con sé. Ed ora l’Arminuta deve riabituarsi a una famiglia che è «la» sua ma non è più sua, a una povertà e selvatichezza che non si può nemmeno dire avesse dimenticato. Una povertà che è stata nostra, ma, a noi Italiani «med», pare ora incredibile. Quando rientra a casa«la donna che l’aveva concepita» non si alza dalla sedia. L’Arminuta non riesce a chiamarla «mamma». «La donna di là».

Per anni, semplicemente, non la chiama. «Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori». Escogita piccoli stratagemmi di sopravvivenza per attirare la sua attenzione. Pizzica le gambe del fratellino che tiene in braccio per farlo piangere, così la donna che l’ha concepita gira la testa e lei può parlarle. Un caos, a proposito, di fratelli e sorelle. Una lotta primitiva per accaparrarsi il cibo a tavola. Bisogna stare concentrati sul piatto per difenderlo dalle incursioni aeree delle forchette. Quando ritorna, l’Arminuta non è la benvenuta: una bocca in più, «Se sta male si mangia il brodino, no la coscia» (del pollo, apparso per miracolo a far sembrare Natale un giorno d’estate). Eppure, la capacità di adattamento ha risorse impensate, momenti di disgelo si insinuano persino in quel dolore rappreso, indurito, e che indurisce. Notevoli stile, poetica, soluzioni di scrittura. Una sorta di neo-Verismo. Nessuna insistenza sul lacrimevole, sul registro patetico. Narrazione asciutta, secca, essenziale. A massima condensazione/asciuttezza, corrisponde massimo di forza espressiva e di suggestione. Difficile dimenticare il capitolo in cui il padre adottivo riconsegna la bambina alla «sua» famiglia. Davanti alla casa, al momento del congedo, lei lo segue, entra nell’abitacolo, chiude la portiera, preme la sicura: «Torno con te, non vi darò nessun fastidio». Lui la riporta fuori quasi di forza: «nella sua morsa non riconoscevo più la mano del padre con cui avevo abitato fino a quella mattina». Sull’asfalto restano i segni delle ruote e lei: l’Arminuta.

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