Il Giro a Gerusalemme
Una folata di pace

È una bella notizia la partenza del Giro d’Italia dell’anno prossimo, il primo dopo l’edizione del centenario con le memorabili giornate bergamasche, da Gerusalemme. Con tre frazioni magnifiche: una cronometro di 10 chilometri nella Città Santa, tra saliscendi e curve; una tappa da Nord, la Haifa–Tel Aviv, dalle alture al lungomare; un’altra, la Be’er-Sheva–Eilat, che si addentrerà nel deserto del Negev per arrivare sul Mar Rosso.

Saranno tre giornate nel ricordo di Gino Bartali, il cui nome è impresso sul muro d’onore del Giardino dei Giusti nel Mausoleo della Memoria Yad Vashem a Gerusalemme. Grazie al ciclismo si costruirà un ponte di pace, perché niente come lo sport può unire i popoli. Timori per la sicurezza? Israele è un Paese piccolo e controllatissimo. Noi europei, purtroppo, abbiamo visto come possano essere più rischiosi viali e luoghi pubblici delle nostre grandi città.

Il Giro d’Italia non oltrepasserà i limiti dello Stato di Israele riconosciuti internazionalmente e non entrerà in Cisgiordania e nei territori contesi. Anche la tappa di Gerusalemme si svolgerà nel settore occidentale della città, acquisito fin dal 1949, e non nella parte Est, occupata da Israele nel 1967 e comprendente la Città Vecchia.

Com’è noto Israele considera l’intera città come la propria capitale «completa e unita», inclusa Gerusalemme Est, la parte della città che, nella prospettiva «due popoli due Stati», l’Autorità nazionale palestinese rivendica come capitale del futuro Stato arabo. L’Onu non riconosce l’annessione a Israele di Gerusalemme Est, né Gerusalemme come capitale di Stato: le ambasciate estere permangono nel distretto di Tel Aviv.

Lo status di Gerusalemme, Città Santa per ebrei, cristiani e musulmani, è la principale controversia del conflitto israelo-palestinese. La Santa Sede chiede uno status speciale per Gerusalemme, garantito a livello internazionale al fine di assicurare libertà di religione, nonché l’accesso sicuro ai luoghi sacri ai fedeli di tutte le religioni e le nazionalità.

Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, ascoltato a Bergamo, è un paladino di un unico Stato binazionale, che sancisca l’uguaglianza di ebrei e arabi di fronte alla legge. Ora i palestinesi cittadini israeliani hanno quasi tutti i diritti, quelli di Gerusalemme solo alcuni, quelli dell’Anp, che controlla il 40 per cento della Cisgiordania, godono di una parte di sovranità. I palestinesi sono privi di qualunque diritto nelle aree occupate militarmente da Israele. A giudizio di Yehoshua, Gerusalemme dovrebbe essere come la Città del Vaticano, che è uno Stato sovrano nel centro di Roma.

Oggi Israele gode di una situazione relativamente tranquilla, per effetto della debolezza e dell’isolamento dei palestinesi, che, ormai, stentano a credere nella soluzione «due popoli due Stati», sulla quale pesa, come un’ipoteca, l’occupazione di fette di Cisgiordania da parte dei coloni. La crisi di quest’estate, per l’installazione dei metaldetector, poi rimossi, all’accesso dei fedeli musulmani alla Spianata delle Moschee, è stata presto superata con la rimozione dei dispositivi. I pellegrini in Terra Santa, peraltro, possono osservare come, al passaggio attraverso i controlli elettronici, siano tenuti tutti gli altri visitatori.

Si nota, poi, come, per le vie di Gerusalemme, sia sempre più facile incontrare gli ebrei ultraortodossi, la cui presenza è in espansione e che risiedono, in particolare, nel quartiere di Mea Shearim, dove si respira un’aria da ghetto ebraico dell’Europa Orientale dei secoli scorsi in pieno Medio Oriente. Alcune case del quartiere musulmano della Città Vecchia, inoltre, vengono acquistate da cittadini israeliani, che poi vi espongono bandiere nazionali, come segno non solo di proprietà, ma di ulteriore conquista territoriale. Pesa il macigno della barriera israeliana che, lunga circa 700 chilometri, separa, con un’alternanza di pannelli di cemento e di reticolati, lo Stato ebraico dai Territori palestinesi, occupandoli ulteriormente, con lo scopo ufficialmente d’impedire l’intrusione di terroristi: «muro di sicurezza» per gli uni, «della vergogna» per gli altri.

Il viaggio attraverso la Cisgiordania permette di comprendere la complessità dell’intera regione: Terra Santa non solo per i cristiani ma anche per gli ebrei e i musulmani, compresa tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano e attualmente divisa tra gli Stati di Israele e di Palestina. Quest’ultima, però, è ridotta a porzioni di territori che, amministrati dall’Anp, restano, comunque, sotto il controllo israeliano. Gli insediamenti dei coloni ebrei, poi, spezzano ulteriormente la continuità territoriale palestinese. Un abitante di Betlemme, a soli nove chilometri da Gerusalemme ma rinchiusa dal muro, può trascorrere, per raggiungere il posto di lavoro nella Città Santa, fino a due, tre ore di coda al check-point.

P.s. A chi ha rilevato inesattezze nell’articolo siamo costretti a replicare, innanzitutto, di aver visitato i posti di cui parliamo, di attenerci ai fatti e di non esprimere propaganda per nessuna delle parti in causa, perché sarebbe contrario alla deontologia professionale. Le definizioni di «muro di sicurezza» e di «muro della vergogna» sono i nomi che, rispettivamente, Israele e Palestina attribuiscono alla barriera di separazione tra i due territori.
A Gerusalemme non ci sono ambasciate, nemmeno quella svedese. Ci sono consolati, tra cui, appunto, quello, al 58 di Nablus Road, della Svezia, che ha, invece, come tutte le altre nazioni che intrattengono rapporti diplomatici con Israele, l’ambasciata a Tel Aviv e consolati anche a Eilat e Haifa.
I passaggi attraverso il muro di separazione avvengono, ovviamente, per dei checkpoint, cioè dei posti di blocco presidiati militarmente per verifiche e controlli, e non per dei check-in, che sono, invece, i luoghi di accettazione in alberghi, ospedali, porti, aeroporti e servizi pubblici in generale.
È vero che i pullman dei turisti possono impiegare, a volte, pochi minuti, per il passaggio attraverso i checkpoint. Ben diversa, però, è la situazione di residenti di Betlemme, una città sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, che debbano raggiungere per lavoro Gerusalemme, interamente annessa da Israele.
Si sa che, per l’accesso alla Spianata delle moschee, i metal detector ci sono. Per i turisti e i visitatori. La crisi di quest’estate era dovuta all’installazione dei dispositivi, poi rimossi, anche per il passaggio dei fedeli musulmani. Che poi questi debbano essere accettati anche da loro è un altro discorso.
Diego Colombo

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