Smartphone cannibali
Creano dipendenza

La crescita degli smartphone, nei dieci anni dal loro ingresso sul mercato, è stata del 536 per cento: nel solo 2016 ne sono stati acquistati 1,6 miliardi. Nello stesso periodo sono crollate le vendite di fotocamere (meno 66 per cento), navigatori (meno 80), lettori Mp3 (meno 87). Gli smartphone hanno avuto un effetto dirompente anche sui dispositivi non in aperta sovrapposizione, come le console di giochi e le tv ad alta definizione. Persino il mercato dei tablet rallenta, per effetto dei phablet (gli smartphone più tablet), con schermo più ampio, dai 5,5 pollici in su. In caduta anche le vendite di oggetti ben più antichi come orologi e torce. Addirittura dei chewing-gum.

I dati sono del Consumer Electronics Association, l’associazione delle aziende del largo consumo negli Stati Uniti. Probabilmente gli smartphone hanno sostituito anche le sigarette: molte situazioni d’attesa e d’imbarazzo, già impegnate accendendo le bionde, ora sono risolte, fingendo chissà quali urgenze, nel compulsare il proprio schermo con il dito indice della mano destra.

In pratica, gli smartphone stanno cannibalizzando il mercato. Nella storia della tecnologia, non esiste nessuno strumento che si sia diffuso così pervasivamente con tale rapidità: il primo dispositivo fu venduto negli Stati Uniti il 29 giugno 2007.

Di pari passo procede la dipendenza da smartphone. L’abuso, come ha osservato lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer, genera veri e propri effetti collaterali indesiderati, come stress, perdita di empatia, depressione, disturbi del sonno e dell’attenzione, incapacità di concentrarsi e di riflettere, mancanza di autocontrollo e di forza di volontà. I bambini, in particolare quelli che non sanno né leggere né scrivere, sono danneggiati nelle proprie capacità sensoriali, mentre bullismo e criminalità informatica completano il quadro della situazione. Si potrebbe affermare che stiamo vivendo uno stadio nell’evoluzione (o involuzione?) della specie: dall’homo sapiens all’«homo cellularis». Basta guardarsi in giro per la strada, oppure sul treno o sulla metropolitana, dove la stragrande maggioranza dei viaggiatori si mostra perennemente impegnata nel muovere le dita delle mani sul proprio smartphone, diventato un muro dietro il quale proteggersi, o nascondersi dagli altri, dal mondo, anche da se stessi. Così si evita di guardarsi in faccia: di mezzo c’è sempre uno schermo.

Non esiste ancora sufficiente consapevolezza della vera e propria trasformazione antropologica in atto. Gli smartphone sono diventati ormai una vera e propria protesi del corpo. Il telefono cellulare, un apparecchio nato, all’origine, per le chiamate d’emergenza, è diventato ora uno strumento universale, mediante le innumerevoli e sempre aggiornate applicazioni. Con conseguenze non soltanto sul mercato, ma, sempre più evidenti, sulla vita sociale. Quando non si sa come orientarsi in un posto nuovo, non ci si informa più chiedendo informazioni a un passante disponibile, ma si consulta Google Maps. Se si dimentica un nome o un indirizzo, non si compie più uno sforzo di memoria per ricordarlo, ma si ricorre subito a una rapida ricerca in Internet o nella propria rubrica. Se si devono inviare auguri, congratulazioni o condoglianze, non si prendono più carta e penna e non si alza nemmeno la cornetta per una telefonata, ma ci si affida a WhattsApp. Comodo? Sì, fin troppo. Non ci si parla più nemmeno nei momenti forti della vita e si affida, algidamente, allo smartphone il compito di surrogare quanto solo gli occhi, specchio dell’anima, in certe occasioni, possono trasmettere.

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