Viviamo nell’era
dei super ricchi

L’1 per cento dell’umanità possiede una ricchezza superiore al resto del pianeta. Otto persone detengono tanto quanto la metà più povera dell’umanità. Una situazione ulteriormente peggiorata rispetto al 2015, quando i Paperoni erano 62. È la sintesi dell’ultimo rapporto «Un’economia per il 99 per cento», steso dall’ong britannica Oxfam. L’attuale sistema economico favorisce l’accumulo di risorse solo nelle tasche di una manciata di uomini.

Nel rapporto si legge che, nel biennio 2015/2016, dieci tra le più grandi multinazionali hanno generato profitti superiori a quanto raccolto dalle casse pubbliche di 180 Paesi del mondo. Le imprese sono la linfa vitale dell’economia di mercato e, se il loro operato va a vantaggio di tutti, sono di cruciale importanza per creare prosperità ed equità sociale. Ma se, al contrario, operano sempre più a favore dei ricchi, i vantaggi derivanti dalla crescita economica non giungono a coloro che ne hanno maggiore bisogno. Nella loro smania di produrre alti profitti per chi sta al vertice, le grandi imprese spremono sempre più i lavoratori, mentre i produttori ricorrono a pratiche di elusione fiscale, evitando così di pagare imposte che andrebbero a beneficio di tutti e, in particolare, dei più poveri.

Tra il 1988 e il 2011 i redditi del 10 per cento più povero dell’umanità sono cresciuti di meno di 3 dollari all’anno, mentre quelli dell’1 per cento più ricco sono aumentati 182 volte tanto. «Multinazionali e super ricchi – spiega il rapporto – continuano ad alimentare la disuguaglianza, con il ricorso a pratiche di elusione fiscale, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e di usare il loro potere per influenzare la politica». I dati sui più poveri vengono da uno studio realizzato per conto dalla banca Credit Suisse, riguardanti la distribuzione della ricchezza globale e aggiornato ogni anno. I dati sulle persone più ricche del mondo scaturiscono da «The World’s Billionaires», una classifica realizzata dalla rivista «Forbes»: gli otto Paperoni sono, nell’ordine, Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffett, Carlos Slim, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison, Michael Bloomberg.

Chi ha contestato i criteri della ricerca ha dovuto ammettere, comunque, che il conteggio compiuto da Oxfam è sostanzialmente corretto. Anche i critici dello studio di Oxfam, come «The Economist», hanno sottolineato che oggi la ricchezza è molto concentrata in pochissime mani. Già quattro anni fa la crescente disuguaglianza economica era stata identificata dal Forum Economico Mondiale come la maggiore minaccia alla stabilità sociale. Obama, nel settembre dall’anno scorso, nell’occasione del suo ultimo discorso di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiarò che «un mondo in cui l’1 per cento dell’umanità controlla la stessa quantità di ricchezza del restante 99 per cento non sarà mai stabile». Il suo successore Trump, però, ha annunciato di voler tagliare le tasse alla parte più ricca degli Stati Uniti e, a capo dei dipartimenti del suo governo, ha nominato miliardari e generali. Negli Usa, secondo le nuove ricerche condotte dall’economista Thomas Piketty, negli ultimi trent’anni i redditi del 50 per cento più povero sono rimasti fermi, mentre quelli dell’1 per cento più ricco sono aumentati del 300 per cento. Nel mondo, nei prossimi vent’anni, 500 persone trasmetteranno ai propri eredi 2.100 miliardi di dollari: è una somma superiore al Pil dell’India, che conta un miliardo e 300 milioni di abitanti.

Come scrive Papa Francesco nella «Laudato si’», «l’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali».

L’Italia non fa eccezione. I primi sette miliardari italiani possiedono quanto il 30 per cento dei più poveri. Non solo. «La novità di quest’anno – spiega Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia – è l’aumento della disuguaglianza, sia in termini di ricchezza che di reddito»: l’1 per cento degli italiani possiede un quarto della ricchezza nazionale, il 20 per cento poco meno del 70, mentre il reddito sale solo per lo strato più alto della popolazione. Un tempo la crescita della produttività si traduceva in un aumento salariale. Ormai da tempo non è più così: il legame tra crescita e benessere è scomparso.

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