Da fotomodella ad artigiana
Vent’anni di lana e di «Live»

«Ce ne sono di laboratori come i miei, con tanta voglia di fare, con la laboriosità di un tempo». Piccoli, seminascosti per le vie di una città come Milano che ancora ha angoli da scoprire. Entri in un cortile, c’è un’insegna poco evidente, e dentro è tutto un filo che si intreccia. Fili di cashmere quelli scelti da Anita Botti, 69 anni, a Milano da oltre trenta e da venti a fare maglie per una passione nata per caso, forse da sempre nel cuore.

«Fino a 23 ho vissuto a Bergamo, da ragazza ho sempre fatto la modella: foto per servizi fotografici per realtà bergamasche, in passerella quando in città si organizzavano molte serata legate al mondo dell’abbigliamento. Con me ricordo gli anni in cui c’era Enzo Catellani: ora è famoso per Catellani e Smith, le sue lampade sono in giro per tutto il mondo, ma lui ha iniziato come parrucchiere ed era bravissimo». Dalla modella, Anita ha anche insegnato il «mestiere di indossatrice» si diceva così un tempo: «Lavoravo per un istituto tecnico, insegnavo trucco e portamento. A quei tempi le agenzie non erano ancora così sviluppate, e si organizzavano le sfilate, si preparavano i set fotografici» ricorda.

Poi il matrimonio con un milanese e il trasferimento nella Mecca della Moda: «Ho smesso come modella, ho continuato con una piccola agenzia che organizzava eventi, piccole sfilate o servizi fotografici. Poi ho perso l’interesse, avevo voglia di fare qualcosa di nuovo». E tutto parte dai gomitoli di lana: «Ho sempre avuto la passione per il cashmere, mi fa stare bene indossarlo, mi dona un senso di protezione e di calore». E aggiunge ridendo, tanto per mettere in chiaro le cose: «La mia storia non è di quelle donne che fin da bambine cucivano e facevano la maglia: mai preso in mano gli aghi, mai messo punti - dice -. Mi piaceva più che altro immaginarmela la lana: ho iniziato così a fare qualche schizzo e ad appoggiarmi a laboratori bergamaschi per i primi capi». Una linea con pochi pezzi, da donna, per sè e le amiche che creano il primo circuito di domanda e offerta: «Poi il laboratorio l’ho aperto io, con quattro donne capaci e che ancora conoscono il mestiere artigianale del lavoro a mano» spiega Anita che da vent’anni è affiancata dalla figlia Chiara, 43 anni, la sua fotocopia, lo stesso sorriso.

In via Stendhal, nella zona di Tortona, fucina creativa e modaiola, c’è così il lavoro intenso di «CN», laboratorio sempre attivo, con la produzione per contro terzi e i campionari chiesti stagione dopo stagione. «Abbiamo clienti italiani, ma anche tedeschi e inglesi.; lavoriamo anche a mano, con uno stile classico che da sempre accompagna il mio progettare».

Con un fiore all’occhiello: «C’è anche una etichetta che è nata dalla voglia di avere un progetto tutto nostro» continua Anita. Non bastava il laboratorio e nasce così «Live», «perchè la lana è in movimento, è vitale, si trasforma». Anita e Chiara disegnano, si raccontano in pullover e abiti da donna: «C’è semplicità e ricerca, rifiniture fatte a mano. C’è la voglia di non fermarsi». Nonostante le difficoltà che laboratori così piccoli possono incontrare in un mercato competitivo e capace di fagocitare: «Vince la continua ricerca, la flessibilità del lavoro, la novità, ma anche la capacità di effettuare lavorazioni che solo le artigiane sanno ancora fare. Serve la storia, non basta l’estetica».

Anita lo dice e continua a produrre, con capi anche da uomo e bambino, aperta a nuove avventure. «Io che non so ancora fare un’asola» sorride. I suoi capi sono anche da Biffi, storica boutique milanese. «Quello che mi piace di più è immaginarsi, dal filato, il pezzo finito. Dal produttore al consumatore, nella semplicità di un capo che sappia far stare bene chi lo indossa». E i Social? Facebook, Instagram, un sito e-commerce? «Arrivo dal mondo della pellicola, ora fatico anche solo a mettermi in posa. E guardo solo i miei fili colorati».

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