Sull’orlo del baratro
Le colpe della società

Atalanta, siamo al teatro dell’assurdo, a una situazione praticamente di non ritorno. A Roma contro la Lazio è sembrato di rivedere la disfatta dell’Inter nell’infausto (per i milanesi) 5 maggio 2002, la giornata delle lacrime di Ronaldo, l’ultima di campionato, quando i biancocelesti, che non volevano vincere per non correre il rischio di regalare lo scudetto alla Roma (ma a trionfare fu la Juventus), piegarono la squadra allenata da Cuper quasi per inerzia, perché l’Inter si era distrutta da sola.

L’Atalanta all’Olimpico ha avuto una chance colossale per abbandonare la lotta per non retrocedere una settimana dopo esservi rimasta invischiata, sia pure ancora indirettamente (ci sono sempre da gestire un +4 sul Frosinone e un +3 sul Palermo, squadre che non stanno rimontando con furore...), invece l’ha fallita miseramente dopo un match che si può definire l’emblema del disastroso 2016 dei nerazzurri, nel quale le crepe di dicembre sono diventate voragini.

Contro la Lazio 2, che pensava all’Europa League e giocava per onor di firma, si è visto un attacco che ha dato la sensazione di poter affondare nel burro, ma è stato frenato dalla cronica inefficacia e progressivamente è scomparso e si è vista una difesa che ha una sua solidità di base, ma che all’improvviso è ricaduta in un blackout ed è stata castigata inesorabilmente. E il centrocampo? Un po’ costruisce, un po’ cuce, un po’ copre, ma senza picchi, è un reparto involuto, come tutta la squadra, con giocatori che non stanno esprimendosi con un’adeguata continuità di rendimento.

Ma ad allarmare è in primis il fattore psicologico e mentale. Più passa il tempo senza una vittoria, più l’Atalanta sta perdendo fiducia nella sua forza e si sta demoralizzando, è quasi svuotata. Lo si è notato dopo il primo gol di Klose che si è rivelato un terribile colpo da ko. Un punticino sarebbe stato il minimo sindacale e invece si è volatilizzato anche quello, l’Atalanta ha tentato di scuotersi ma dopo qualche minuto è parsa rassegnata al suo triste destino.

Se consideriamo inoltre che nella rosa non c’è nessun trascinatore, nessun elemento di grande personalità, che i pilastri del primo scorcio di campionato non sostengono più la squadra, e che a Roma si è visto anche qualche gesto di nervosismo inopportuno (la stizza di Pinilla al momento della sostituzione con Borriello, la fascia di capitano volata a terra al cambio Cigarini-Diamanti), il quadro è desolante.

Così come è stato abbastanza sconfortante ascoltare le parole di Edy Reja nel commentare l’ennesimo ko, parole dimesse, quasi di resa per l’impossibilità d’invertire la tendenza che sta conducendo al tracollo. Se la sosta fosse stata domenica prossima, probabilmente Reja sarebbe già stato esonerato. Così, invece, all’allenatore è stata data un’ultima chance da sfruttare contro il Bologna. In fondo, sarebbe sufficiente vincere la sfida contro i felsinei per avere il propellente utile per tirarsi fuori dalla lotta per non retrocedere e per dirsi addio con un abbraccio a fine stagione. In caso contrario il divorzio a campionato in corso sarà inevitabile nella speranza che il nuovo allenatore dia la scossa per raggranellare almeno i punti-salvezza.

Ma le colpe di Reja, è giusto precisarlo, sono limitate. Quelle del club sono sicuramente superiori. Al di là di un calciomercato di gennaio nel quale si è contribuito a smontare il giocattolo e si è sottovalutata l’importanza di Moralez, ma l’ha sottovaluta anche chi scrive, lo ammettiamo, c’è una precisa responsabilità nel non aver rinforzato l’attacco fin dalla scorsa estate. In molti avevano sottolineato che affidarsi soltanto a un Denis in parabola discendente, a un Pinilla forte ma discontinuo e non affidabile fisicamente, e al giovane Monachello sarebbe stato rischioso pensando anche alle sofferenze del campionato precedente. Invece la società ha sottovalutato le evidenti carenze e, ancora più grave, le ha sottovalutate a gennaio, quando si è limitata a cedere Denis per sostituirlo con Borriello, ovvero con un giocatore più o meno della stessa età del Tanque che non stava giocando, segnando di più e che non conosceva la realtà di Bergamo. Sarebbe bastato qualche golletto in più per non essere con l’acqua alla gola.

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