A Barcellona per amore
«Ma non lascio l’Atalanta»

Francesco Macalli, originario di Vertova, ha 36 anni. Da due vive in Spagna insieme alla moglie Sila. Lavora in banca, ma la sua vera passione è la Dea.

La vita di ognuno è fatta di incontri e persone destinati a cambiarne il corso. Per Francesco Macalli – 36enne di Vertova, residente a Barcellona da otto anni – quella persona risponde al nome di Sila: si conoscono al ristorante, a Milano; lei, originaria delle Canarie, è in Italia per fare visita a una amica; lui è un giovane laureato in Economia alla Bocconi che sta facendo carriera a Mediaset. Basta poco perché si innamorino e, dopo due anni di relazione a distanza, capiscono che è giunto il momento di smettere di fare i pendolari e mettere su casa insieme.

La scelta ricade su Barcellona perché, spiega Francesco, «si trova a metà strada tra Milano e le Canarie e ci piaceva l’idea di ripartire da zero, insieme, in una città che non fosse quella di nessuno dei due. Poi, da bergamasco, mi attirava vivere vicino al mare». Inizia così la ricerca di un impiego, rivelatasi più ardua del previsto. «Ogni sera rispondevo agli annunci sulla piattaforma spagnola di “Infojobs”, ma il 90% dei curriculum che inviavo, veniva cestinato. Immagino che deponesse a mio sfavore risiedere all’estero: sarò sembrato il classico italiano che voleva trasferirsi in Spagna per spassarsela». Finché arriva un riscontro positivo: si tratta di un gruppo bancario tricolore e, dopo una serie di colloqui, ecco il «sì» finale. «Il venerdì ho presentato le dimissioni a Mediaset – dove mi occupavo di logistica e organizzazione nell’ambito delle risorse umane – e dieci giorni dopo prendevo possesso della mia nuova scrivania».

«I primi giorni di lavoro ho notato una cosa che mi sembrava molto buffa: considerato che gli orari dei pasti sono spostati di un paio d’ore rispetto ai nostri, con il pranzo tra le 14 e le 15 e la cena tra le 21 e le 22, vedevo che i colleghi a metà mattina invece di bersi un caffè tiravano fuori dalle loro borse delle baguette chilometriche ripiene di salame, prosciutto e persino di tortillas. Ebbene: dopo tanto tempo mi sono spagnolizzato al punto di essermi adeguato a questa sostanziosa “schiscèta”. Del resto i miei amici e la mia famiglia mi prendono in giro perché mischio la cadenza bergamasca con quella spagnola: mi invento delle parole assurde». Sebbene barcellonesi e bergamaschi potrebbero sembrare quanto di più distante al mondo, il bocconiano riconosce molte somiglianze: «In entrambi i casi si tratta di grandi lavoratori, con un profondo legame di appartenenza e amore per il proprio territorio, sia in termini di lingua che di tradizione. Inoltre il rapporto tra Barcellona e Madrid è un po’ come quello tra Bergamo e Milano: noi più “alla buona”, loro molto “pettinati”».

Francesco ha le idee chiare quando gli si chiede di cosa senta maggiore nostalgia. «Mi mancano le domeniche allo stadio a tifare l’Atalanta. Quando vivevo a Milano, non vedevo l’ora che arrivasse il fine settimana per andare in curva con gli amici. Capita che vada a vedere il Barcellona, ma preferisco di gran lunga le partite dei neroblù: la mia prima volta al Camp Nou finì quattro a zero. Era il loro primo anno del “triplete”, ma per me quel match fu di una noia mortale: essendo atalantino sono abituato a soffrire e a partire dal presupposto che non sarà facile vincere. Non mi piacciono le partite senza suspence! E, rimanendo in ambito calcistico, da quando vivo in Spagna mi imbatto spesso in gente che mi chiede per quale squadra tifo. Quando replico “Atalanta”, restano smarriti e mi incalzano: “E tra le forti per chi tieni?”. Qui l’ usanza è sostenere il team della propria città e, al contempo, anche una delle due “grandi”: Real o Barça. Ormai, ho imparato a rispondere diversamente e specifico: “Tifo Atalanta. Solo Atalanta”».

Vivendo a Barcellona, non sono mancati gli incontri con orobici trapiantati nella penisola iberica. «Ho avuto un bravissimo stagista: Umberto. Stava seguendo un master e abbiamo legato al punto che sono stato invitato alla cerimonia di consegna del diploma, unendomi poi ai festeggiamenti con la sua famiglia. Era liberatorio, ogni tanto, potersi concedere qualche parola in bergamasco! Ma l’episodio più pittoresco è legato a quando io e Sila vivevamo nei pressi del Parco Güell: si tratta di un bella zona, ben frequentata, che però contempla una serie di case abbandonate, di cui prendono possesso tanti abusivi. Un giorno, passeggiando, noto una coppia di “punk”: tatuaggi, creste, piercing. Lei si rivolge al fidanzato e gli chiede: “T’het comprat ol vi?”. Sono scoppiato a ridere e mi sono defilato».

Dopo anni di affitto, di recente Francesco e Sila hanno comprato casa a Corbera de Llobregat, a 20 chilometri da Barcellona. «Come recita un detto spagnolo, “La cabra tira al monte” (la capra va verso la montagna, ndr). Nel dna resto un valligiano e il mio habitat ideale è la provincia, più che la metropoli. Da subito mi aveva colpito un dettaglio di Corbera: la parte storica si chiama Corbera Alta, mentre quella nuova Corbera Baja (bassa, ndr). Insomma: tutto torna! Però, nonostante la distanza tra Corbera e Barcellona sia la stessa che c’è tra Vertova e Bergamo, la strada che percorro ogni giorno non ha nulla da spartire con la tremenda statale della Val Seriana, che è stata la mia croce ai tempi in cui frequentavo il classico al Sant’Alessandro: posso scegliere tra due superstrade, ognuna delle quali ha tre corsie».

Nessun desiderio di tornare a vivere in Italia? «Qui si vive bene. Certo, sento la mancanza di mia madre e della mia nipotina, Lucia, ma grazie a Ryanair ci si riesce a vedere spesso. Alla nostalgia per il cibo provvede la mamma: lei è ufficialmente il mio ristorante preferito e ora che è in pensione viene a trovarmi di frequente, cucinandomi tutti i suoi manicaretti! Ho un gruppo di amici argentini che ogni due per tre organizza delle grigliate: ogni volta preparo la polenta, ma finisce che ce la mangiamo io e un altro ragazzo milanese. I palati ispanici cercano sapori forti e la polenta, per loro, è un po’ insipida».

Se quasi dieci anni non hanno spagnolizzato le sue papille gustative, Francesco confessa invece di essere impazzito per l’hobby che da qualche tempo spopola nella penisola iberica: «Si chiama “padel” ed è una via di mezzo tra il tennis e lo squash. È molto divertente e mi piace molto. Certo: nemmeno quello regge il confronto con una partita dell’Atalanta!».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per tre mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected]

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