Raquel: «Giro il mondo
per insegnare yoga»

A 26 anni Raquel Koya Mapell vive a Copenaghen. «Città meravigliosa ma l’idioma è davvero ostico». In Bolivia aiuterà un orfanotrofio e in Brasile un museo. Se ti chiami «Koya» - vocabolo quechua coniato per designare la prima regina degli Inca, il più vasto impero precolombiano di sempre, e utilizzato, in seguito, per indicare tutte le sovrane - la tua esistenza non può che sfociare nello straordinario. Nasci a Trezzo sull’Adda, traslochi a Bergamo per seguire le tue passioni – il sociale, l’arte e lo yoga – e finisce che a 26 anni puoi dire con orgoglio di aver già esplorato metà del mondo

Non per scattarti selfie da postare su Instagram, ma con l’obiettivo di imparare tutto lo scibile su quella che, nel frattempo, scopri essere la tua vocazione: l’acroyoga. C’è tanta vita nelle poche primavere di Raquel Koya Mapelli, che si racconta sfruttando una connessione internet di fortuna da Tulum, Messico, suggestiva cittadina Maya i cui monumenti archeologici si alternano a chilometriche distese di spiagge caraibiche.

Tra qualche giorno prenderà un volo con destinazione Quito - dove vive la famiglia di sua madre Rufilia, peruviana –, per poi far tappa in Bolivia, in Brasile e, forse, anche in Argentina. Dal maggio scorso è ufficialmente residente a Copenaghen, Danimarca, la patria del fidanzato. Ma un pezzetto del suo cuore è rimasto ai piedi delle Orobie: in quella stanzetta in prossimità della porta di San Lorenzo, Città Alta, dove si era trasferita come volontaria nell’ambito di un progetto di emergenza abitativa («Dire, fare, abitare»); doveva trattenersi un anno scarso: è finita che è rimasta a Bergamo per cinque anni. «Intensissimi – puntalizza –. Ho lasciato tanti amici: ed è quello il luogo che continuo a considerare casa». Passa qualche mese e - grazie alla laurea in Beni culturali - viene arruolata dallo studio della restauratrice Delfina Fagnani, entrando poi a far parte della squadra che rimette a nuovo i quadri di Carlo Ceresa in occasione della grande mostra antologica del 2012.

Tra un impegno e l’altro si imbatte in Ivana, fondatrice dello «Yoga Bergamo» di via Carnovali: non si perde nessuna delle sue lezioni ed è così brava che nel giro di poco diventa l’assistente dell’insegnante. Ma la vera folgorazione arriva con il laboratorio di acroyoga cui si iscrive al principio del 2013: una disciplina che fonde acrobatica e yoga con il thai massage e il volo terapeutico. «Praticando danza mi ero resa conto di come, per me, fosse indispensabile veicolare le emozioni attraverso il corpo. L’acroyoga fu una rivelazione. Perché non si limita all’atto performativo, va oltre: è una lezione di vita. La posizione base è quella dell’areoplanino: sì, proprio quello che si fa da piccoli, quando i genitori ci sollevano per aria. Il che implica che si rimanga perennemente sospesi: è imprescindibile fidarsi dei compagni, oltre che di se stessi. Sono necessari coraggio, tecnica e la giusta predisposizione mentale», spiega.

Da quel momento, Raquel Koya inizia a fare su e giù l’Europa per partecipare a decine di seminari, approfondendo così la materia che l’ha stregata. Scopre presto che Danimarca e Svezia sono particolarmente all’avanguardia nel settore e, in uno di questi viaggi, trova anche l’anima gemella: Kasper, fotografo e designer, nonché appassionato di acroyoga. Per tre anni la loro è una relazione a distanza: la ragazza vola a Copenaghen quasi ogni weekend, complici i tanti workshop. Tornata a Bergamo con nuovi input, trascorre le giornate a ideare le lezioni del corso che tiene nel centro di via Carnovali tre giorni a settimana. Alterna questa attività al lavoro in Centax e, quando le capita, fa la hostess a eventi e fiere.

Ma l’amore, si sa, mette le ali ai piedi: e così, Raquel Koya e Kasper comiciano a fantasticare su un progetto comune, basato sulla compartecipazione di idee, competenze ed esperienze senza scambio di denaro. Decidono di battezzarlo con una parola quechua: «nuna» (http://www.nuna.life), che significa proprio «spirito con le ali». «Nuna è un brand itinerante attraverso il quale cerchiamo di portare nei posti che visitiamo le nostre conoscenze, proponendo workshop gratuiti di acroyoga per grandi e piccini – una categoria che ci sta particolarmente a cuore, perché sono le vere gemme della nostra società – e condividendo le nostre abilità artistiche (in ambito fotografico, di design e del restauro). A breve partirà un piccolo shop on line in cui sarà possibile acquistare prodotti di artigianato solidale pescati qua e là: come i manufatti in cotone organico scovati durante il nostro recente soggiorno in India. Parallelamente, ci adopereremo su altri fronti: in Bolivia aiuteremo un orfanotrofio, mentre in Brasile darò una mano a una ex compagna di accademia alle prese con alcuni restauri nel Museo di arte sacra di Salvador de Bahia. Complessivamente, il nostro tour del nuovo continente durerà otto mesi: un viaggio lungo e costoso, sostenuto grazie anche alla raccolta fondi che abbiamo lanciato sulla piattaforma Indiegogo». A giugno Raquel e Kaspar faranno ritorno a Copenaghen. «Una città meravigliosa, di cui mi sono innamorata a prima vista: mi è bastato vedere una ragazza che pedalava a piedi nudi in stazione per afferrare l’essenza di quel luogo, popolato da gente concreta, ironica, per nulla giudicante. In Italia chiunque strabuzzava gli occhi quando raccontavo quale fosse la mia professione, mentre i danesi non fanno una piega. I sondaggi lo eleggono ogni anno il Paese più felice al mondo: ed è proprio così. Un difetto? L’idioma, davvero ostico: mi salva il corso di norvegese che feci ai tempi dell’università e grazie al quale riesco a decifrare un pochino lo scritto. Ma, ad oggi, confesso che il mio fidanzato mi batte in quanto ad abilità linguistiche: adora Bergamo al punto da aver imparato persino un po’ di dialetto».

Eppure, il cammino della felicità della bella Raquel Koya sembra non poter prescindere dalle Orobie. «Lo scorso anno io ed alcuni colleghi abbiamo dato vita al primo festival italiano di acroyoga, che si è tenuto in provincia di Alessandria. Ora stiamo pensando alla nuova edizione, quella del 2017: e, questa volta, vorrei tanto che a far da cornice alla manifestazione fosse Bergamo».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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