Tiene i cordoni della borsa di Obama
«Ma la polenta la ordino su Amazon»

di Elena Catalfamo
Paolo Pesenti, 52 anni, da Bergamo ora è a New York con una laurea alla Bocconi. Oggi è policy advisor del presidente della Federal Reserve Bank di New York. I suoi colleghi di lavoro? Janet Yellen e prima ancora Bernanke. Sulle sue ricerche si decidono le politiche monetarie degli Stati Uniti.

Per lui il governatore della Federal Reserve Bank, la banca centrale degli Stati Uniti che decide le sorti della politica monetaria della superpotenza mondiale, è semplicemente «Janet». Paolo Pesenti vive da più di 25 anni negli Usa, ma è originario di Bergamo, e oggi ha un ruolo quanto mai delicato perché è il policy advisor del presidente della Federal Reserve Bank di New York, al vertice del sistema di politiche monetarie in America. Janet Yellen, appena nominata alla guida della Fed, e il suo predecessore Ben Bernanke o l’ex ministro del Tesoro Tim Geithner per lui sono colleghi di lavoro, ma anche persone che si confrontano con le sue ricerche per decidere che cosa sia meglio fare in materia di politica economica e monetaria negli Stati Uniti e in Europa.

Cinquantadue anni, originario del centro città, cittadino italiano e americano, è sposato con Mette, una danese della regione dello Jutland, e ha una figlia americana al 100% nonostante il nome: Teresa. Diplomato al «Sarpi» (un anno dopo Giorgio Gori) e laureato in Discipline economiche e sociali all’Università Bocconi di Milano, nel 1987 è volato oltreoceano per specializzarsi all’Università di Yale. Dopo il dottorato Pesenti si trasferisce nel New Jersey, dove vive tuttora, e insegna Economia internazionale all’Università di Princeton. Nel 1998 entra alla Fed di New York, continuando a insegnare di tanto in tanto a Princeton, New York e alla Columbia University.

«Facevo il pendolare da Bergamo a Milano in treno – racconta in collegamento Skype da casa, comodamente seduto sul divano con il pc appoggiato sulle gambe – e ora faccio il pendolare da Princeton a New York» sorride con un accento americano che tradisce qualche inflessione orobica. «Non è cambiato molto» dice.

Attualmente ricopre l’incarico di vice presidente e consulente di politiche monetarie nel gruppo di ricerca e statistica della Federal Reserve Bank di New York in stretto contatto con la casa madre di Washington, dove ha sede il governatore e il Board che decide delle sorti delle politiche monetarie americane. È anche di casa al Fondo monetario internazionale, dove ha lavorato nei mesi successivi all’11 Settembre 2001, e alla Banca centrale europea, e nelle ultime settimane ha seguito con interesse le elezioni europee e il dibattito su chi è pro o contro l’euro.

«Non credo che il voto anti-euro in realtà sia un voto contro la moneta unica in quanto tale – commenta – ma piuttosto contro le regole del gioco europeo. La disoccupazione, la crescita stagnante e le difficoltà economiche in generale hanno creato una contrazione delle aspettative delle famiglie e quindi sono nati i malumori che diventano voto di protesta contro l’Europa». Non teme per l’euro e le forze anti-euro Pesenti e sembra anche cautamente ottimista rispetto alla ripresa. Che negli Stati Uniti si avverte già. «La crisi del 2008 è alle spalle anche se i danni che ha causato non sono facilmente sanabili, ci sono conseguenze che resteranno per molti anni» riflette.

«Ci troviamo a governare una congiuntura economica che non ha precedenti nella storia del dopoguerra – spiega –, l’unico confronto valido è con la Crisi del ’29. Per le autorità di politica economica, e per chi come me si occupa di ricerca e consulenza, questo significa muoversi senza riferimenti e dover trovare strade nuove, sperimentare per trovare soluzioni e al tempo stesso senza mettere a rischio il sistema. È una fase unica nel suo genere: per esempio è la prima volta che la Federal Reserve Bank ha un bilancio che oltrepassa i quattro trilioni di dollari. Questo perché negli ultimi anni la Fed ha iniettato enorme liquidità nel sistema mantenendo i tassi d’interesse bassi per rimettere in moto l’economia. Quando verrà il momento di avere politiche più restrittive, il processo di normalizzazione comporterà dei rischi, calcolati, ma pur sempre rischi».

Non è facile parlare di queste cose «anche se su due cose si trovano esperti a iosa – sorride –: calcio e politiche monetarie». Su entrambi tutti sembrano avere la propria ricetta. «Di certo, anche in Europa, è maturata una certa diffidenza verso le autorità di politica monetaria che sembrano privilegiare gli interessi delle élite finanziarie – osserva – ma una cosa deve essere chiara: l’unico obiettivo effettivo è cercare di assicurare il benessere delle persone, la stabilità dei prezzi e la piena occupazione. Questo è quello che muove Janet (la Yellen appunto ndr) e ogni banca centrale in ogni democrazia». In prima istanza – spiega Pesenti – la cosa più importante «è che si trovi una sintesi tra efficienza economica e dignità umana, che attraverso il supporto alle imprese e all’economia ogni cittadino possa godere di prezzi e redditi stabili, opportunità di impiego commensurate a talenti e meriti, condizioni di finanziamento competitive per la casa e la famiglia».

Anche se fa parte del gotha della finanza mondiale, Paolo Pesenti, è quel che si dice una «easy going person», una persona molto alla mano. «In casa cucino io, per il semplice fatto che tra un italiano e una danese non si discute su chi sia meglio ai fornelli – scherza –. E quando sento la nostalgia della taragna la compro su Amazon.it».

«La bergamaschità per me è qualcosa che ormai scorre nel nostro dna, che mi porto dietro indipendentemente da dove mi trovo – spiega –. Penso a mia figlia per esempio: Teresa è nata qui, è al 100% americana, ma adora Bergamo tutte le volte che veniamo in vacanza, la sua atmosfera, i suoi colori e sapori. In generale è attratta dall’arte e dal design italiano, le sue radici italiane sono un elemento esotico del suo essere americana».

«Per chi emigra la cosa che manca di più è una rete famigliare – spiega –. È per questo che, per quanto è possibile cerco di mantenere i contatti con la mia famiglia e le nipoti di Bergamo, per far sentire anche a mia figlia che è parte di una cosa più grande». E proprio la figlia si sta ormai laureando in Communication Design e sogna un giorno di specializzarsi in Italia. «Per questi ragazzi i confini geografici non esistono: sono stati abbattuti dai mezzi tecnologici e dai trasporti più veloci e accessibili in termini economici. Se per mia figlia l’Italia rappresenta il luogo professionale e formativo d’eccellenza tenderà ad andare lì. Più un Paese in questo sa essere ricettivo e meglio è. Facilitare la mobilità e l’accoglienza degli stranieri rappresenta un’opportunità».

Perchè Bergamo senza confini

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