Il discorso del direttore Ettore Ongis

Signor presidente,

da 123 anni il nostro giornale entra nelle case di Bergamo e della sua provincia. Ha sempre qualcosa di nuovo da raccontare e come tutti i quotidiani non risparmia le brutte notizie. Ma ieri e oggi, in prima pagina e in molte altre pagine, sono prevalse immagini e toni di festosità, di letizia, perché la notizia più importante è Lei, che è venuto con sorprendente cordialità a far visita alla nostra terra. In questo momento, per noi de L’Eco di Bergamo, c’è anche il privilegio di averla qui, in redazione. Un avvenimento che segnerà la nostra storia: è la prima volta che un presidente della Repubblica onora il giornale con la sua presenza. Prima di ogni altra parola voglio perciò dirle il grazie più sentito da parte mia e di tutti i giornalisti.

Sono tante le persone a noi care presenti a questo incontro: con il vescovo monsignor Amadei e il presidente Zanetti ci sono gli altri azionisti della società editrice, ci sono i consiglieri d’amministrazione. C’è il grande, grandissimo direttore, monsignor Andrea Spada, che per oltre mezzo secolo ha guidato L’Eco portandolo a mete di diffusione inarrivabili. A lui dobbiamo tutto. C’è il direttore generale e ci sono i dirigenti, i tipografi, gli stampatori, gli addetti alla segreteria, i collaboratori, i fattorini, i dipendenti della società di pubblicità. Sono presenti anche i responsabili delle altre testate del Gruppo e il direttore del secondo quotidiano bergamasco, Il Giornale di Bergamo, oltre ai corrispondenti di alcune testate nazionali. Sono sicuro di interpretare anche il loro pensiero nel manifestarle sincera e profonda stima e riconoscenza perché lei è veramente il presidente di tutti.

Se non vado errato, da un anno e due mesi è anche un giornalista. Giornalista ad honorem, perché - come recita la motivazione dell’Ordine nazionale - “è una tra le personalità istituzionali più vicine alla nostra professione”. Senza dubbio lei conosce quanto è appassionante e coinvolgente il nostro mestiere, ma sa anche quanti sono i condizionamenti, i dubbi, gli inevitabili errori nei quali incorre chi fa questo lavoro. Ebbene, in un giornale locale i pregi e i limiti appena elencati è come se fossero posti sotto una lente di ingrandimento, perché il riscontro con i lettori è diretto, immediato. Noi parliamo a persone vicine di altre persone conosciute e incontrabili, raccontiamo fatti noti a molti lettori. Questo ci impone uno stile, una misura, un’attenzione ai particolari. Per un giornale di provincia la credibilità è tutto, conta più della tiratura o delle copie vendute. E per essere credibili non basta la cura dei dettagli: nel porgere le notizie serve anche il senso delle proporzioni. In particolare occorre con i bergamaschi, che non amano l’enfasi e il giornalismo gridato.

Scopo primario del nostro lavoro è servire la comunità bergamasca e attraverso questa servire il Paese. Aiutare la gente, i lettori, a crescere nella conoscenza, nello spirito critico e nella concordia. Questa è la linea che ci ha dato l’editore e che noi cerchiamo di interpretare secondo la nostra sensibilità e le nostre capacità. Questa è stata la scelta de L’Eco di Bergamo fin dalla sua fondazione, quando un gruppo di laici cristiani guidati da Nicolò Rezzara decise di offrire ai bergamaschi un punto di vista cattolico proprio nel senso etimologico, universale - cioè più ampio e comprensivo - nella lettura degli avvenimenti internazionali, nazionali e locali. Un punto di vista che tenesse conto anche dei bisogni e delle attese delle persone semplici e umili, non solo degli interessi dei potenti.

In forza di queste premesse abbiamo sempre goduto, e oggi più di ieri godiamo, di una invidiabile libertà, accompagnata dall’affetto di migliaia di lettori, quasi trecentomila al giorno. Gli unici argini che riconosciamo sono il rispetto delle persone e della verità. Non ci interessano gli schieramenti. Un modo di fare giornalismo forse inattuale e poco appagante, visto che appare a volte più facile e forse redditizio alzare il tono di voce e collocarsi pregiudizialmente da una parte o dall’altra. Intendiamoci: non siamo sempre obiettivi e a volte possiamo risultare anche faziosi. Viviamo immersi nella realtà, ne subiamo il fascino e le suggestioni. Eppure, quando ho letto le parole che lei ha pronunciato dopo la consegna della tessera di giornalista ho riconosciuto in esse il profilo della nostra giovane redazione. Cerchiamo di essere - come lei ha detto - giornalisti “con la schiena dritta e la testa alta e sentiamo fino in fondo la responsabilità di informare correttamente e di penetrare nell’animo, nella mente e nelle case delle persone”. Ci piace il lavoro al giornale e ci piace la realtà. Per questo, diffidiamo dei luoghi comuni e appena possiamo andiamo a vedere “come stanno le cose”. Se permette il paragone, è un po’ quello che fa lei visitando di persona l’Italia delle “cento città”. E’ l’esperienza che le fa dire che la nostra Patria è molto più carica di fascino e di risorse di quanto non appaia. Allo stesso modo, per noi, è la sorpresa quotidiana di gente ancora ricca di idealità che ci fa dire che i bergamaschi, i bergamaschi di nascita o di adozione - siano bianchi, neri o gialli -, o quelli emigrati all’estero che raggiungiamo attraverso internet, meritano di essere raccontati da un buon giornale. Questo è il nostro modo di servirli: pur nel villaggi globale farli sentire ogni giorno a casa.

Ancora grazie, presidente.

(07/05/2003)

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