«Nel crac ho perso mezzo miliardo di lire» La storia di un imprenditore bergamasco

«Con la Parmalat ho perso mezzo miliardo di vecchie lire. E stamattina in banca mi son sentito dire: "Cosa vuole, siam dentro anche noi". Pazzesco».

Chi parla è un imprenditore bergamasco in pensione, uno di quelli che hanno lavorato duro tutta la vita e che poco alla volta sono riusciti a costruire il sogno di una bella azienda.

Poi il tempo passa, viene il momento di sganciarsi dall’attività e di investire per se stessi. Così si va in banca, magari quella che per decenni ha accolto volentieri i versamenti giornalieri dell’azienda.

Si chiede consiglio, fidando che, come vecchi e solidi clienti, si sarà trattati al meglio. E poi ci si sveglia in un incubo.

«Le banche non potevano non sapere...», osserva l’ex imprenditore che ha accettato l’intervista con la garanzia dell’anonimato: «Fra loro, secondo me, si sono accordate. Quando ti presentano le loro proposte, non ti spiegano mai chiaramente il tipo di responsabilità che la banca si prende, se si prevede un alto rischio o un basso rischio». Il nostro risparmiatore tradito è decisamente furioso: «Hanno in mano l’aggiornamento del rating, ma non lo consegnano mai e dai loro stampati non è che si capisca molto, alla fine bisogna fidarsi». E lo dice uno che pure i conti li ha fatti tutta la vita, che è abituato a districarsi tra i tecnicismi del linguaggio finanziario. E poi la riflessione amara, da imprenditore che ora sta dall’altra parte della barricata: «In fondo in questi anni difficili i risparmiatori, tutti, da quelli piccoli a quelli grandi, hanno aiutato l’industria con l’acquisto delle obbligazioni. Basta pensare a Lucchini, Alcatel, Telecom... Che cosa avrebbero fatto queste grandi aziende senza la fiducia dei cittadini? Ma se un’azienda truffa, i cittadini restano soli nei pasticci. E il governo cosa fa? Dovrebbe esigere un’assicurazione per il prodotto finanziario, occorre una garanzia per il denaro come per le altre merci. Invece non c’è nulla. C’è gente che ha lavorato una vita e si vede portar via sotto il naso tutti i sacrifici che ha fatto in tanti anni. Quando vai in banca a chiedere un prestito, devi fornire montagne di garanzie, lo so bene. E loro? Loro niente, nessuna responsabilità se il tuo denaro sparisce».

L’imprenditore fa una pausa, cerca le sigarette, poi ci ripensa. «Meglio di no». Parlare è come rigirarsi il coltello nella ferita, ma è anche uno sfogo. «Quanti siamo a Bergamo?» chiede. Alla Federconsumatori risultano una trentina di segnalazioni, ma probabilmente i colpiti son molti di più, visto che chi ha perso poco, spesso incassa il colpo e non intraprende le vie legali per tentare di riavere il suo denaro.

Come difendersi, si chiede l’imprenditore e si risponde da solo: «Allora, se il mercato italiano è senza regole, meglio non investire più nelle aziende e prendere i titoli di Stato, i vecchi bot e cct, almeno sono titoli garantiti. Chi compra in Borsa conosce il rischio, ma azioni e obbligazioni sono cose ben distinte. Con i fondi azionari ci abbiamo rimesso fior di quattrini, ma uno è più preparato al rischio, fa abbastanza parte del gioco; le obbligazioni sono tutt’altro discorso. E adesso ti tirano fuori i foglietti di carta...».

Questa volta la sigaretta si accende davvero e si consuma in fretta, come ai bei tempi, prima dei pacchetti listati a lutto. Il catrame fa meno danni della rabbia repressa: «La dico tutta? Anche la preparazione del personale delle banche fa acqua. Ti dicono questo rende tot, quest’altro tot, ma non ti dicono a quali rischi vai incontro. E se va male, non sa più niente nessuno, se la filano tutti». Come in Argentina? L’uomo annuisce: «Stesso discorso, ma si pensava che in Italia ci fosse più serietà, invece...».

Il caso Parmalat ha coinvolto, come questo imprenditore, molti risparmiatori e investitori bergamaschi. Racconta la tua storia a L’Eco di Bergamo, partecipando al forum di discussione attivato qui sotto.

(08/01/2004)

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