«Valvole per armi chimiche»
Non era vero, azienda scagionata

Rischiava di diventare un intrigo internazionale, la storia di dieci grosse valvole per piattaforme petrolifere che un'azienda di Cenate Sotto ha spedito in Qatar. Una vicenda su cui s'erano allungate ombre di traffici illeciti e di arsenali segreti, tanto più inquietanti perché le commesse andavano a piombare in una regione del pianeta su cui da sempre si addensano sospetti.

Insomma, un po' come capitava in passato, quando dall'Europa venivano esportate gigantesche tubature che ufficialmente partivano come componenti di oleodotti, ma che a volte finivano per diventare pezzi portanti dei super cannoni da guerra di qualche Paese orientale con mire da potenza militare.

È questo il dubbio che aveva alimentato lo zelo dei funzionari dell'Ufficio dogane di Bergamo che, di fronte a quelle dieci gigantesche valvole, non avevano esitato a segnalare la situazione al ministero dell'Economia e alla Procura. Era partita così un'inchiesta, con conseguente sequestro del materiale (valore, diverse centinaia di migliaia di euro): quelle che per la ditta di Cenate Sotto erano semplici commesse, agli occhi degli inquirenti sono diventati corpi di reato.

F. B., l'amministratore delegato della società - un'azienda leader nel mercato della componentistica del settore «Oil & gas» - s'era così ritrovato nel registro degli indagati con un'accusa che detta così, «esportazione di beni a duplice uso», sembra quasi un encomio, ma che comporta pene fino a sei anni e multe da 200 mila euro. Più di un anno sotto inchiesta, poi, nei giorni scorsi, il non luogo a procedere pronunciato dal gup Bianca Maria Bianchi, un verdetto che ha avuto il potere di trasformare un possibile intrigo in una bolla di sapone.

Tutto comincia nella primavera del 2008, quando l'azienda di Cenate Sotto termina la produzione delle dieci valvole e si appresta a spedirle, tramite volo aereo da Orio al Serio, in Qatar, alla società petrolifera intenzionata a utilizzarle per una nuova piattaforma estrattiva. Il materiale deve prima passare al vaglio delle Dogane di Bergamo, ed è qui che scoppia il patatrac.

Le valvole vengono sequestrate nel maggio del 2008, ma due mesi dopo il legale ottiene il dissequestro. I prodotti prendono così il volo per il Qatar, l'inchiesta penale resta però aperta.

Il pm Franco Bettini chiede il rinvio a giudizio e si arriva così in udienza preliminare. Davanti al gup l'avvocato Cortesi sostiene che di questo tipo di beni non c'è traccia nell'allegato dell'Ue, «che si concentra più sulla componentistica riguardante l'utilizzo di sostanze chimiche e non su quella per idrocarburi». Poi il legale convoca i consulenti tecnici del Politecnico di Milano che dimostrano come quelle valvole non siano da considerarsi «dual use» e che dunque la ditta non era tenuta a richiedere l'autorizzazione al ministero dell'Economia.

Argomentazioni convincenti per il giudice Bianchi, che nei giorni scorsi ha optato per il non luogo a procedere. Nessun intrigo internazionale, dunque, solo esportazioni ad alta tecnologia di cui l'economia bergamasca, in questi tempi di crisi poi, dovrebbe andare fiera.

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