La casa con le escort
che indignò il console

La delegazione venezuelana in visita alle Cartiere Pigna era per lo più fasulla, composta da comparse reclutate - è quello che sospetta l'accusa - per far credere che il governo di Hugo Chavez fosse interessato alle commesse dell'azienda bergamasca. Eppure, l'incidente diplomatico rischiò di scoppiare davvero in quell'ottobre del 2003, durante il lussuoso ricevimento che Carillo Pesenti Pigna organizzò nel suo palazzo nel cuore di Bergamo.

«Dopo la cena – ha raccontato a processo l'imputato per truffa Joseph Picone – ci furono problemi. Carillo, per intrattenere gli ospiti, quasi tutti uomini, aveva fatto arrivare delle hostess». Hostess hostess, oppure...?, gli è stato chiesto dal giudice. «Beh, diciamo escort – ha risposto Picone –, alla vista delle quali il console venezuelano a Miami (forse l'unico vero rappresentante di Chavez arrivato a Bergamo in quei giorni, ndr) si sentì offeso perché accanto a lui era seduta la moglie». «Come si permette?», s'era adombrato il dignitario sudamericano, stando al racconto dell'imputato. Secondo il quale al piccante dopocena avrebbe partecipato anche l'onorevole Giorgio Jannone.

«Arrivò dopo la cena», ha dichiarato in aula Picone. «Non è vero nulla, quella sera ero a Roma – smentisce il deputato, interpellato dal nostro giornale –. Nelle foto con la delegazione scattate quella sera non ci sono mai. Lo dice anche l'ingegner Paglia, che non è certo mio amico (tra il cda della Pigna di cui Jannone è presidente e l'ex ad è in corso una battaglia civile a suon di milioni di euro, ndr). E poi io delle escort quella sera a casa di Carillo non ho mai sentito parlare. Mi sembra strano che arrivassero donne così nella residenza dove abitava anche la madre dei suoi figli».

Che il rampollo della dinastia Pigna sia un tipo eccentrico è però emerso durante il processo: capriccioso, viziato, umorale, abituato a uno stile di vita sfarzoso (e dispendioso), con suite prenotate contemporaneamente al Grand Hotel Et de Milan e al Four Seasons, nonostante a Milano fosse proprietario di due appartamenti nelle esclusive via Manzoni e via dei Giardini. «In certi periodi era inaccessibile, si estraniava, tagliava i contatti ed era un'impresa trovarlo – ha spiegato Picone –. Io e la sua compagna una volta impiegammo giorni a far passare alberghi e case di Milano prima di trovarlo».

Se è vero quanto racconta l'imputato, Carillo lo accolse «in modo pittoresco», quando gli portò il milione e 740 mila euro all'«Et de Milan»: «Aprì la porta della suite indossando guanti da chirurgo. "Sto operando, entra pure", mi disse. In stanza c'erano prostitute». O quell'altra volta in cui Picone si trovava nell'appartamento milanese di Pesenti Pigna: «Una donna suonò alla porta e gli diede un pacco con mezzo milione di dollari in contanti. Lui li sparse ai piedi del letto e ci camminò sopra». In questi comportamenti strambi c'entra forse la cocaina, di cui all'epoca - come ha affermato in aula Picone - Carillo abusava. E l'ombra della polvere bianca s'allunga anche sull'affaire Venezuela. «Penso che Carillo – ha confidato l'imputato a processo – volesse il passaporto diplomatico emesso dal governo venezuelano (rivelatosi poi falso, ndr) perché con sé aveva sempre tanta cocaina per uso personale e credo che il documento gli servisse per evitare i controlli alle frontiere».

Leggi l'articolo su L'Eco in edicola oggi

© RIPRODUZIONE RISERVATA