L'Università di Bergamo:
lavora in nero un'azienda su due

Il dato è da prendere con le pinze - perchè percentualmente poco significativo - ma è indubbio che suoni per l'ennesima volta un campanello d'allarme già alto nella percezione dell'opinione pubblica e di cui sarebbe ora cominciare a tener conto: secondo la ricerca sul lavoro sommerso nella Bergamasca elaborata dall'Università degli Studi di Bergamo, più di un'azienda su due risulta irregolare, o sul fronte del lavoratore o su quello propriamente aziendale.

Il dato - frutto dell'aver incrociato le rilevazioni effettuate nel 2009 da Istat, Inail e Dipartimento Provinciale del Lavoro - fa riferimento a 2052 aziende in cui sono state trovate irregolarità sulle 3.794 sottoposte a controllo. Se da una parte bisogna dire nella Bergamasca le imprese sono 93.932 - e non è dunque possibile fare di ogni erba un fascio su un raffronto in percentuale così basso -, dall'altra bisogna però dire che assai spesso i controlli eseguiti dalle autorità ispettive sono mirati ad aziende che con la coscienza non proprio immacolata.

Sul versante dei lavoratori tra il «grigio» e il «nero», la ricerca ne indica 5.183, con un rapporto di tre lavoratori in questa situazione ogni dieci, il che - in proiezione - starebbe ad indicare che i lavoratori in nero nella nostra provincia sarebbero tra le 30 e le 32 mila unità, la metà dei quali «impiegati» nei servizi, sfatando così il luogo comune che il «sommerco» sia solo nell'edilizia e nei settori ad essa attinenti.

Ma anche in questo caso - per evitare di generalizzare - è necessario tener conto delle percentuali tra i le quantità analizzate e le quantità reali. Al di là di tutto, comunque, l'indagine rappresenta un imprescindibile punto di partenza non solo per analizzare il problema, ma anche per cominciare a trovare delle soluzioni.

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