Due famiglie, lo stesso dolore
«Giustizia per Stefano e Gabriele»

Cosa c'entra Stefano Cucchi, giovane detenuto morto in circostanze a dir poco oscure all'ospedale «Sandro Pertini» di Roma, con i tifosi dell'Atalanta? Sì, perché i sostenitori nerazzurri hanno voluto significare la loro vicinanza non solo ai familiari di Gabriele Sandri, tifoso laziale ucciso da un colpo esploso da un poliziotto, ma anche a quelli di Cucchi, estraneo al mondo delle tifoserie.

Due giovani vite spezzate in modo assurdo, «due famiglie distrutte dallo stesso dolore». Sabato, dalle 17,30, in uno dei padiglioni della Festa della Dea, presso il parcheggio dell'Oriocenter, i ragazzi della Curva Nord hanno invitato a portare la loro testimonianza Giorgio Sandri, padre di Gabriele, e papà e mamma di Stefano. Ottocento, mille presenze sotto un padiglione infuocato dal caldo.

E il tifo, questa volta, si è speso per far sentire il proprio calore, forza, sostegno, la propria umana prossimità a due famiglie accomunate dalla stessa sofferenza. «Raccontare la storia di mio figlio è inutile», esordisce Sandri: «È nota a tutti. Giustizia fino a oggi non è arrivata. C'è stata una sentenza di primo grado: a parer mio, quanto mai discutibile. Noi non facciamo un processo alla polizia. Quello che è successo l'11 novembre 2007 non è stata un'operazione di polizia. È stato il gesto di un folle, che ha tolto la vita a un ragazzo di 26 anni».

Il papà di Stefano: «Vi sono grato di una così folta presenza. Vuol dire che oltre a Gabriele Sandri anche Stefano Cucchi è nei vostri cuori. Stefano non c'è più. Lo Stato lo ha strappato alla nostra famiglia. La sua unica colpa, oltre al lieve reato ascrittogli, è stata quella di rivendicare i suoi diritti. Il diritto ad essere trattato dignitosamente, a essere assistito dal punto di vista legale, sanitario, psicologico, affettivo, religioso. Diritti che gli sono stati negati. Ora pretendiamo la verità dallo Stato».

«Stefano era un ragazzo normale. Aveva fatto degli errori, come tanti nella nostra società malata. Era incappato nella droga. Una piccola ricaduta. Venti grammi di hashish e due di cocaina. Ne sarebbe uscito. Aveva riscoperto la religione. Era un idealista. Probabilmente è questo che l'ha perduto: il cinismo, l'indifferenza, l'inconsapevole crudeltà di alcune strutture dello Stato, alcuni tutori dell'ordine e della salute pubblica che l'hanno vessato e abbandonato».

«Come è potuto avvenire? È possibile che i nostri concittadini, i nostri figli, subiscano ingiustizie così gravi proprio da coloro che dovrebbero difenderli? Basta. Vogliamo verità e giustizia. La civiltà di un Paese si giudica anche dallo stato della dignità in carcere. Noi lotteremo senza tregua per ottenere giustizia e verità, per restituire dignità a Stefano e ad altri come lui. Stefano ha subìto violenza. Non dobbiamo rispondere con la violenza. Lui non voleva, lui la rifiutava. Noi la rifiuteremo».

Applausi scroscianti. La mamma di Stefano ripercorre le ultime giornate del figlio, le ansie, le angosce, le mille traversie, gli inceppi burocratici, i muri di gomma che hanno segnato una vicenda di dolore e frustrazione. «Quel 15 ottobre era stata una giornata come tante altre. Alle 10,30 Stefano esce: è sereno. Verso l'una e un quarto il citofono. È lui, accompagnato da tre carabinieri in borghese, altri due in divisa. Era stato trovato con un po' di droga. Necessaria una perquisizione, ma non trovano nulla. "Purtroppo lo dobbiamo fermare", ci dicono. "Domattina la direttissima: ma per tanto poco vedrete che torna a casa subito". Lo portano via ammanettato. È stata l'ultima volta che ho visto mio figlio vivo».

Il giorno dopo il processo: Stefano viene rinviato a giudizio, al 13 novembre. «Tutto ammanettato, vuole abbracciare il padre. Da lì il carcere l'ha come inghiottito». Sono intervenuti Cecchino Antonini, giornalista di «Liberazione», che ha seguito le vicende Cucchi e Aldrovandi; Maurizio Martucci, autore di «11 novembre 2007», libro sulla morte di Sandri; Giovanni Adami, avvocato specializzato nella difesa degli ultrà. La sera, fiaccolata e minuti di assordante silenzio in segno di solidarietà ai genitori di Gabriele e Stefano. Ai quali sono stati consegnati, in ricordo dei figli, una targa e un mazzo di fiori.
 Vincenzo Guercio

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