Medico di Curno sequestrato
«Per il rilascio ho dovuto pagare»

Una semplice foto ricordo nella capitale della Repubblica Centrafricana ha fatto vivere attimi di apprensione a un medico di Curno – Roberto Prandi, di 56 anni – e ad un'infermiera piemontese che mercoledì pomeriggio 29 settembre stavano rientrando in Italia dopo un periodo di volontariato in una missione. Un gruppetto di militari armati di pistole e mitra, infatti, li ha accusati di aver scattato la foto senza il permesso delle autorità locali e li ha costretti a pagare per «chiudere un occhio» sull'infrazione ed evitare la prigione. «Ci hanno praticamente sequestrati per un'ora – racconta il dottor Prandi, medico di famiglia e dentista che per tutto il mese di settembre ha lavorato tramite la onlus genovese "Medici in Africa" in un dispensario nella zona occidentale del paese dove vengono curati i bambini malnutriti – e non ci hanno rilasciato fino a quando non abbiamo consegnato tutti i soldi che avevamo in tasca, una cifra che in moneta locale equivale a circa 150 euro».

Tutto è successo nella città di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, una nazione dove governo non ha il pieno controllo del territorio e dove dilagano non solo la povertà, ma anche l'illegalità e la corruzione. «Era l'ultimo giorno prima di rientrare in Italia – prosegue Prandi che è tornato a Curno giovedì 30 settembre – e mi trovavo con la collega vicino alla riva del fiume Ubangui, in una zona di passaggio, dove ci sono delle panchine. Con la fotocamera digitale ho scattato una foto al fiume, a quel punto un soldato armato che era seduto su una panchina si è alzato e mi ha sequestrato la macchina fotografica, dicendo che per scattare foto serviva un permesso». Al medico prima di partire era stato raccomandato di non fotografare edifici pubblici e militari: «Mi sono attenuto a questa disposizione – sottolinea il dottor Prandi – e ho fotografato semplicemente il fiume, ma il soldato non ha voluto sentire ragioni».

Per conoscere la storia in tutti i suoi particolari leggi L'Eco di Bergamo del 2 ottobre

© RIPRODUZIONE RISERVATA