Bimbo ammalato di leucemia
L'abbraccio di Bergamo scalda il cuore

La lettera a Santa Lucia – pubblicata domenica 12 dicembre sul nostro quotidiano – di un bimbo affetto dalla leucemia in cerca di un donatore ha generato una catena di solidarietà. In decine hanno scritto o telefonato al giornale offrendosi come possibili donatori di midollo osseo.

La lettera a Santa Lucia – pubblicata domenica 12 dicembre sul nostro quotidiano – di un bimbo affetto dalla leucemia in cerca di un donatore ha generato una catena di solidarietà. In decine hanno scritto o telefonato al giornale offrendosi come possibili donatori di midollo osseo: un gesto molto importante – sottolineano i medici – che bisogna compiere, perché sia di reale aiuto, al di là del caso singolo, per andare ad alimentare la banca dati internazionale. «Il trapianto di midollo per alcuni pazienti affetti da leucemia può essere di fatto l'unica terapia efficace – spiega Valentino Conter, primario del reparto di Pediatria degli Ospedali Riuniti di Bergamo, uno dei massimi esperti a livello internazionale per la cura della leucemia in età pediatrica – e la probabilità di guarigione dipende comunque dalla fase della malattia in cui lo si fa. In pediatria la chemioterapia permette di guarire i tre quarti dei bambini e il trapianto del midollo lo si riserva a quei soggetti che hanno già fallito gli approcci di chemioterapia. Nella donazione di midollo va considerato che il numero di donatori è grandissimo e pertanto l'impegno locale ad aumentare il numero dei donatori sarebbe del tutto ininfluente rispetto alla probabilità di trovarne uno idoneo per un bambino – spiega l'esperto che con il dottor Massimo Provenzi si prende cura anche del piccolo P. che ha scritto a Santa Lucia –. Chi vuole diventare donatore deve quindi agire nell'ottica di contribuire alle possibilità di guarigione di tutti i malati a livello internazionale, e non semplicemente, in funzione di un singolo caso».

«Succede che un giorno ti alzi e scopri che tuo figlio ha una malattia del sangue – racconta il papà di P. –. Si chiama leucemia. Succede che quella che era una vita diventa un incubo in cui si precipita, giorno dopo giorno, un buco nero fatto di terrore e di speranza. La forza arriva in un secondo momento, appena ti riprendi dalla notizia. Allora, non so dove, trovi la forza per combattere». «Trattieni le lacrime mentre guardi il tuo bambino che fatica a giocare – continua –, che ha il sorriso spento, lui che ha un'età in cui gli occhi dovrebbero brillare di stupore, di gioia, di vita. Lui che non conosce il nome di quella bestia che gli ha cambiato la vita, che non sa niente dei farmaci che gli rendono alcune giornate infernali. Lui a cui tutti cercano di rendere i minuti spensierati e allegri, la vita simile a quella dei coetanei che giocano nella neve. Lui che non dovrebbe sapere, non si può dire una verità così forte ad un bambino, ma le sue antenne invisibili gli fanno capire che dietro i sorrisi della mamma e del papà si nasconde angoscia, terrore, paura. È difficile accettare l'idea di non poter cambiare un destino che sta facendo lo sgambetto. Io posso solo sorridere, rendere leggero il pesante, abbracciarlo sperando che la sofferenza se ne vada e ci lasci in pace». Tiene gli occhi bassi questo papà mentre parla della malattia terribile con cui il figlio P. sta lottando da due anni. Lui è un frugoletto delle elementari molto simpatico. Ha gli occhi grandi, guance paffute e la testa senza più capelli. Il papà lo accarezza trattenendo a stento le lacrime, non le lascia scendere per lui, per salvarlo almeno un po' da un dolore troppo grande. Però le lacrime cadono e non smettono di scendere quando racconta che si era trovato un donatore compatibile per un trapianto di midollo osseo, la speranza, ma all'ultimo minuto non se ne è fatto più nulla. Il donatore per qualche motivo non era più idoneo. La luce intravista per un attimo si è spenta di nuovo.

Ma come si esce da un incubo chiamato leucemia? È il professor Franco Locatelli, bergamasco di origini ma emigrato per lavoro a Roma, dove è primario al Gesù Bambino, che fa il punto della situazione sulla malattia e sulla questione donazione: «Per molti anni il trapianto di midollo osseo è stato limitato nella sua applicabilità dalla disponibilità di un donatore compatibile in ambito famigliare – spiega –. È stata quindi fondamentale la creazione di registri internazionali di donatori e anche la creazione delle banche di raccolta e conservazione del sangue cordonale. Attraverso questi due approcci è oggi possibile trovare un donatore per il 70% di coloro che necessitano di trapianto. Tra l'altro i donatori italiani, che sono quasi 400 mila, mentre nel mondo sono 14 milioni, non sono pochi anche se non sono mai troppi».

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