I giudici contro i ricoveri lampo
Ma il problema è l'assistenza

I giudici della Cassazione hanno dichiarato che «le dimissioni di un paziente non devono rispondere a logiche di bilancio» di un'azienda ospedaliera, appoggiando quindi la tesi dei parenti che erano ricorsi all'autorità giudiziaria perché il malato era stato dimesso troppo presto.

Il dibattito esisteva da tempo, in realtà, ma la sentenza della Cassazione ha fatto emergere la questione. Ovvero i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato, a proposito del caso di un paziente di Busto Arsizio, sottoposto ad angioplastica coronarica e morto in seguito a una crisi respiratoria poche ore dopo le dimissioni, che «le dimissioni di un paziente non devono rispondere a logiche di bilancio» di un'azienda ospedaliera, appoggiando quindi la tesi dei parenti che erano ricorsi all'autorità giudiziaria perché il malato era stato dimesso troppo presto. Il dovere dei medici è «quello di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra esigenza», hanno sentenziato i giudici.

Il caso non poteva quindi non sollevare confronti sul tema, da tempo spinoso: da un lato la necessità di contenere la spesa sanitaria, dall'altro quella di tenere sempre al centro i bisogni di ogni singolo malato.

«È chiaro che non può esserci, in sanità, una situazione ottimale, ma va anche sottolineato che comunque non è mai successo nulla se un'azienda ospedaliera teneva ricoverato un paziente due, tre giorni in più. L'equilibrio di bilancio è sempre un mezzo per erogare i servizi necessari, non un fine: e in Lombardia l'attenzione a questi bisogni c'è sempre stata – sottolinea Mara Azzi, direttore generale dell'Asl di Bergamo – . Ritengo che la decisione del Pirellone di istituire da quest'anno in tutti gli ospedali posti letto di medicina per sub acuti possa essere la giusta risposta. Ovvero all'interno di ogni struttura sanitaria si creeranno aree di degenza "leggera", dove i pazienti verranno spostati nella fase non più acuta: posti letto di medicina verranno trasformati in medicina per sub acuti, rimborsabili con un tetto di spesa minore, consentendo ricoveri più lunghi. Se uniamo questo provvedimento alle centrali di dimissioni protette e maggiori investimenti sull'assistenza domiciliare integrata potremmo essere sulla strada di un buon equilibrio».

Ma il rischio, con l'introduzione dei sub acuti, è anche quello di tagliare posti alle cosiddette «urgenze». «Ed è un bubbone che prima o poi scoppierà – evidenzia Orazio Amboni Welfare Cgil – . La verità è che non ci sono alternative territoriali, per la convalescenza e la fase riabilitativa. La questione delle cure intermedie porterà a tagli in reparti che hanno già lunghe liste d'attesa, e nella Bergamasca il rischio è quello di non avere più spazi a sufficienza per la popolazione sempre più anziana. Questo mentre i medici sono davvero pressati dalle logiche aziendali di bilancio. Brilliamo nell'eccellenza, senza dubbio, ma nella routine sanitaria abbiamo pecche non indifferenti».

C'è anche la questione dei medici, sempre più pressati tra gli obblighi deontologici e le richieste delle logiche aziendali: «È il medico e non la struttura ospedaliera al centro del rapporto con un paziente, e questa sentenza finalmente lo ribadisce – sottolinea Emilio Pozzi, presidente dell'Ordine dei medici di Bergamo – . L'introduzione dei cosiddetti ricoveri leggeri può essere una soluzione, vedremo come funzionerà il meccanismo. Ma non bisogna nascondersi dietro un dito: il territorio ha carenza di servizi, l'assistenza domiciliare è piuttosto carente, a voler essere gentili».

Ed è sul territorio, quindi su una dimensione più «domestica» per i malati non più acuti, che bisognerebbe puntare, anche secondo Paolo Messina, responsabile del Tribunale del malato e Cittadinanzattiva Bergamo: «Abbiamo ospedali ipertecnologici, tanti ospedali che a poca distanza l'uno dall'altro vogliono fare tutti le stesse cose. Invece è sul territorio che servono investimenti, per la riabilitazione e l'assistenza domiciliare. Qualche passo è stato fatto, ma mancano iniziative mirate. E noi, nel frattempo, raccogliamo le proteste di familiari soprattutto di anziani che si ritrovano a casa dopo una degenza e senza sostegno medico-riabilitativo».

Carmen Tancredi

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