Sconfiggere il tumore all'ovaio
Tecnica innovativa ai Riuniti

Aggredire il tumore anche con una speciale chemioterapia direttamente in sala operatoria. Una tecnica che vede gli Ospedali Riuniti varare un protocollo per l'utilizzo di questa innovazione per il tumore all'ovaio con metastasi nell'addome.

Aggredire il tumore non solo con la chirurgia, ma anche, e in contemporanea, con una speciale chemioterapia direttamente in sala operatoria che lava, a temperature elevate, la parte intaccata dal tumore dalle parti microscopiche del male «sfuggite» al bisturi. Una tecnica molto complessa, ma che sembra garantire prospettive di vita molto più elevate degli interventi classici seguiti da terapia chemioterapica non intraoperatoria: una tecnica che vede gli Ospedali Riuniti varare un protocollo, il primo al mondo, per l'utilizzo di questa innovazione per il tumore all'ovaio con metastasi nell'addome. Il protocollo vede lavorare insieme due équipe e unità differenti, la Chirurgia generale I, diretta da Luca Anzaloni, e la Ginecologia, diretta da Luigi Frigerio.

«Questa tecnica, che si chiama Hipec, e sta per Hyperthermic intraperitoneal chemiotherapy, è stata introdotta in America, dal chirurgo di Washington Paul Sugarbaker, contro la carcinosi peritoneale – evidenzia Luca Anzaloni –. È lo stadio evolutivo avanzato di molti tumori che si sviluppano in organi addominali, come colon, ovaio, stomaco, pancreas e fegato. Il peritoneo è una sorta di membrana che ricopre la parete interna dell'addome e tutti gli organi che vi sono ospitati: tra i due "fogli" di rivestimento c'è un liquido che agisce come lubrificante. È in questo liquido che si sviluppano le cellule metastatiche. Esistono altri due tumori per i quali si applica questa tecnica, e sono il mesotelioma peritoneale (raro, due casi per un milione di abitanti l'anno), e lo pseudomixoma del peritoneo (un caso per milione di abitante) che è considerato benigno o borderline, ma a causa della inevitabile progressione nel tempo, ha un esito fatale per il paziente».

Le prospettive di vita a lungo termine nei casi di carcinosi peritoneale erano, fino a poco tempo fa, pressoché nulle, continua Anzaloni: «Per molto tempo la carcinosi è stata considerata non curabile chirurgicamente e poco recettiva alla chemioterapia: le ipotesi di remissione erano irrisorie. Negli ultimi anni però, con questa combinazione tra chirurgia e chemioipertermia intraperitoneale, arriviamo a prospettare al paziente aspettative più elevate».

E ora, ai Riuniti, primi al mondo, nasce un protocollo tra Chirurgia e Ginecologia, per il trattamento in prima linea della carcinosi peritoneale nelle neoplasie ovariche. «Purtroppo il tumore all'ovaio è un killer silenzioso: non esistono screening per intercettarlo nelle fasi iniziali, e quando viene individuato è spesso avanzato con cellule nel peritoneo: l'85% dei casi infatti, presenta forme cosiddette "epiteliali", il tumore dall'ovaio si sfoglia e nel liquido peritoneale si disperdono e proliferano le cellule maligne. In Italia 5.000 donne l'anno sono colpite da tumore all'ovaio e 3.000 ne muoiono – evidenzia il primario di Ginecologia dei Riuniti Luigi Frigerio –. L'applicazione della nuova tecnica anche nell'ambito della ginecologia oncologica ci consente di offrire alle donne colpite da questa patologia la possibilità di una aggressione più incisiva del tumore, con migliori prospettive di vita. E i Riuniti di Bergamo sono la prima struttura italiana a vantare questo protocollo d'intervento. Non solo: proprio ai Riuniti è nato l'Ovarian cancer unit, cioè una unità di studio del cancro dell'ovaio per verificare cosa accade dopo l'utilizzo di questa particolare tecnica chirurgico-terapeutica».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 10 marzo

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