Ettore Ongis lascia «L'Eco»:
«Un'ultima cosa, grazie di cuore»

L'editore Sesaab ha comunicato che, con il giornale di venerdì 1 luglio, Ettore Ongis lascia la direzione de «L'Eco di Bergamo». Lo sostituisce Giorgio Gandola, dal 2006 direttore «La Provincia» di Como. Ecco il saluto di Ongis dopo 11 anni e mezzo.

L'editore Sesaab ha comunicato che, con il giornale di venerdì 1 luglio, Ettore Ongis lascia la direzione de «L'Eco di Bergamo». Lo sostituisce Giorgio Gandola, dal 2006 direttore «La Provincia» di Como. Ecco il saluto di Ongis dopo 11 anni e mezzo.

«È un mestiere bello e complicato guidare un giornale. Le soddisfazioni sono tante, i grattacapi pure. A Bergamo ancora di più. Io ho avuto il privilegio di dirigere L'Eco per un lungo periodo – undici anni e mezzo, quasi 4200 giorni – ed è giunto il momento di passare la mano».

«Le cose, come spesso accade, sono più semplici di quanto si pensi: la proprietà ha deciso di cambiare rotta e, di conseguenza, di affidare ad altri il timone. Al collega e amico Giorgio Gandola, che da oggi prende il mio posto, auguro di cuore ogni bene».

«Ho riflettuto molto su cosa scrivere in questa occasione. È l'ultima e non voglio sprecarla. La conclusione a cui sono arrivato può sembrare la più prevedibile, ma la vita mi ha insegnato a non darla mai per scontata: dire grazie».

«Grazie agli editori, in primis al nostro vescovo monsignor Beschi, e ai giornalisti; agli amministratori e soprattutto a voi, cari lettori. Inutile nascondere che nel lasciare l'incarico un po' di tristezza c'è, ma è talmente tanto quello che ho ricevuto, sia dal punto di vista professionale che umano, da compensare qualsiasi amarezza».

«Conoscere Andrea Spada e imparare da lui il valore di un giornale locale; dialogare e farsi correggere dal compianto vescovo Amadei - con il quale ho condiviso un bel pezzo di strada e che occupa un posto speciale nella mia memoria -; confrontarmi, a volte anche duramente, con le istituzioni, con amministrazioni di diversi colori e con i poteri forti della nostra splendida città, sono stati aspetti nello stesso tempo impegnativi e affascinanti del mio lavoro».

«Ma entusiasmante è stato anche incontrare e riuscire a dare spazio - tra le mille cattive notizie che un giornale per sua natura è costretto a pubblicare - a vicende e a persone comuni di vera umanità di cui la nostra terra è, grazie a Dio, ancora ricca».

«Ogni bergamasco, o quasi, considera L'Eco parte integrante del patrimonio personale, come fosse un'icona della città, un po' come il profilo di Città Alta o l'Ospedale. Valorizzare e difendere questa preziosa eredità e farla viaggiare al passo con i tempi è stato l'obiettivo principale mio e della redazione».

«In questi anni abbiamo fatto il possibile per migliorare il giornale nei contenuti e nella grafica, ammodernarlo e lanciarlo sulle nuove piattaforme multimediali, e per mantenere quei margini di libertà e di dignità indispensabili per svolgere al meglio la nostra professione in tempi difficili».

«Consapevoli di dover offrire un servizio al territorio, abbiamo voluto bene a Bergamo, alla sua gente e alla sua Chiesa, partendo da una dimensione di laicità positiva. E abbiamo cercato di non restare alla superficie delle cose ma di lasciarci interrogare, al di là dei pregiudizi ideologici, dalla realtà così com'è: nella politica e nell'impresa, nella famiglia e nell'immigrazione».

«Tutto questo nella prospettiva di aprire un confronto e un dialogo pluralista con le diverse sensibilità della nostra terra. È chiaro che errori, piccoli o grandi, sono stati commessi, ma vi posso garantire che è accaduto in buona fede. In ogni caso, a chi si è sentito offeso o ferito per ciò che possiamo aver detto, o taciuto - che non fosse la verità - chiedo personalmente scusa».

«Un saluto speciale voglio rivolgere ai "miei" giornalisti, con cui ho condiviso una comune passione, tanti sacrifici e un tempo infinito. E senza i quali, ovviamente, la mia avventura non sarebbe stata possibile. Un grazie particolare al vicedirettore Franco Cattaneo, alla cui professionalità e alla cui lealtà devo moltissimo».

A tutti gli "ormai ex" colleghi un grande, grandissimo in bocca al lupo: con l'aria che tira nel mondo dell'editoria ne hanno davvero bisogno. E non voglio dimenticare i collaboratori e i poligrafici, il cui contributo è stato e continua ad essere determinante per la realizzazione di un prodotto di qualità. Senza di loro non avremmo vinto (possiamo ben dirlo) le difficili sfide combattute in questi anni».

«Il grazie finale è per tutti voi, cari lettori del giornale cartaceo, del web - che è stato un incredibile successo - e dell'informazione di Bergamo Tivù. Vi saluto uno a uno, contando fino a 600 mila, tanti si calcola siano quotidianamente i lettori, i visitatori del sito e gli spettatori. Ho imparato davvero molto dalle vostre lettere, dalle critiche, dagli incoraggiamenti, dai suggerimenti».

«Perfino il vostro silenzio, come nel drammatico caso di Yara, mi è servito a capire che il miglior giornale non è quello che si parla addosso, ma quello che lascia parlare (o sussurrare) i fatti e giudica a partire da essi. "L'uomo ragionevole", diceva il filosofo Jean Guitton, "è colui che sottopone la ragione all'esperienza". Vale anche per un giornale, la cui vera forza è essere una finestra aperta sulla realtà, non uno specchio in cui riflettere esclusivamente se stessi o le proprie idee».

«Sottolinearlo oggi, in una stagione nella quale i mezzi di comunicazione possono condizionare l'opinione pubblica con una prepotenza mai vista prima, è importante per la libertà di ciascuno. Buona fortuna a tutti (e un po' anche a me). E forza Atalanta».

Ettore Ongis

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