Il caso del 18enne marocchino citato
dal Dipartimento di stato americano

Nel rapporto 2010 del Dipartimento di Stato americano sul rispetto dei diritti umani nel mondo, alla voce «Italia», capitolo «privazione arbitraria o illegale della vita», figura anche il caso di Aziz Amiri, marocchino morto a 18 anni durante un'operazione antidroga dei carabinieri a Mornico al Serio. Il caso di Aziz è affiancato, fra gli altri, alle più note vicende giudiziarie riguardanti l'uccisione di Gabriele Sandri e Federico Aldrovandi.

«Il 6 febbraio un carabiniere ha sparato e ucciso un immigrato marocchino, Aziz Amiri. Notizie di stampa affermano che la vettura del deceduto ha speronato un veicolo militare quando era stata sottoposta a un blocco. Il procuratore ha aperto un'inchiesta per l'uso sproporzionato della forza da parte dei carabinieri mentre cercavano di arrestare Amiri».

Questo è il riferimento integrale alla vicenda di Mornico nel rapporto Usa. Nel frattempo, però, la Procura di Bergamo ha chiuso le indagini e, a marzo di quest'anno, ha chiesto l'archiviazione del fascicolo a carico del carabiniere che sparò (omicidio colposo il reato ipotizzato). Archiviazione a cui si sono opposti i legali della famiglia del marocchino. Ora la pratica è sul tavolo del gip, che deve decidere.

L'episodio accadde il 6 febbraio 2010. La pattuglia di carabinieri in borghese appartenente al nucleo operativo di Bergamo aveva pedinato la Peugeot 206 su cui c'erano Amiri e un connazionale, finché l'auto non s'era fermata. A quel punto i militari erano sopraggiunti alle spalle, posizionando la loro Fiat Punto dietro l'auto dei marocchini, per bloccarla. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il maghrebino al volante aveva cercato di fuggire innestando la retromarcia e speronando più volte la Punto. Avrebbe rischiato anche di investire l'appuntato, che nel frattempo era caduto procurandosi lievi lesioni al ginocchio.

Il carabiniere s'era rialzato e aveva estratto la pistola, caricandola. Il marocchino al volante, ancora seduto nell'abitacolo, attraverso il finestrino abbassato avrebbe cercato di disarmare il militare. È a quel punto che sarebbe partito il proiettile che uccise Amiri, seduto sul lato del passeggero, colpendolo di rimbalzo. Il conducente, approfittando della confusione, s'era dileguato a piedi. Nell'auto furono trovati circa 30 grammi di cocaina.

Il legale che assiste la famiglia Amiri, Tatiana Burattin, si è opposta all'archiviazione del procedimento. Paolo Bulleri, procuratore incaricato dalla famiglia, ha affermato: «È morto un innocente. Nella ricostruzione della vicenda - prosegue - molte cose non tornano: innanzitutto la macchina fu subito sequestrata dai carabinieri e noi l'abbiamo potuta esaminare solo in seguito. Anziché incaricare un ente terzo, come la polizia, le indagini sono state svolte dagli stessi carabinieri. Inoltre come ha fatto a scappare l'uomo che era alla guida? Perché il carabiniere sparò con una pistola non d'ordinanza?».

Nessun dubbio per la Procura: «Le indagini sono state puntuali e corrette» ha detto il pm che si occupò del caso, Maria Mocciaro. «Subito dopo l'omicidio interrogai io stessa, in sedi separate, i due militari: diedero versioni concordanti. Anche la perizia del Ris sull'auto e l'autopsia sul cadavere diedero conferme. Fu il conducente dell'auto ad afferrare per il braccio il carabiniere, al quale partì il colpo, purtroppo mortale. Il militare estrasse l'Arma dopo i ripetuti speronamenti, come ha confermato un testimone».

Nel frattempo le indagini avrebbero stabilito che il conducente della Peugeot non sarebbe stato un totale sconosciuto per Aziz: gli inquirenti ritengono che fosse un fratello da parte di padre, ricercato per droga. Quanto alla pistola da cui partì il colpo, non sarebbe stata quella d'ordinanza, bensì quella personale: «L'altra era in riparazione», dice l'avvocato, Ettore Tacchini.

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